LO SPOPOLAMENTO DI FIRENZE

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Avete mai sentito parlare di spopolamento di una città, regione o, addirittura, di un intero Paese? Lo spopolamento è una forte diminuzione della densità della popolazione di una determinata zona, conseguente a radicali mutamenti socioeconomici. Nella storia abbiamo assistito a vari tipi di spopolamento, soprattutto dalle campagne, a partire dai più disparati cambiamenti tecnologici o economici che investivano la città. Non addentrandoci, però, in questioni di carattere meramente storico, non possiamo non palesare ciò che stiamo osservando a Firenze: un suo spopolamento progressivo.

I dati forniti dall’ISTAT appaiono molto chiari, ma anche allarmanti: in poco più di due anni la città del Sommo Poeta ha perso diecimila abitanti, come l’intera Barberino del Mugello! La stragrande maggioranza delle famiglie che ha deciso di andarsene ha figli. L’associazione Progetto Firenze, in merito alla questione, sostiene che “Tra febbraio 2019 e febbraio 2021 il Comune di Firenze ha perso ben 10.533 residenti, annullando praticamente il lento recupero degli ultimi dieci anni rispetto al minimo storico registrato nel 2007“. Questa notizia non solo risulta essere tragica, ma lo è ancora di più sapendo che in soli sei mesi, dall’inizio dell’anno, Firenze ha perso un numero di residenti superiore a quello che ha lasciato il capoluogo toscano nell’intero 2019.

Un altro dato che appare estremamente interessante è l’età e il genere di chi decide di trasferirsi fuori dalla città: la suddetta associazione dichiara che “per il 90% del totale sono persone con meno di 64 anni, il 20% addirittura ha meno di 15 anni, e il 55% sono donne. L’esodo poi interessa tutti i quartieri, ma soprattutto il 2, il 4 e il 5“. È il centro storico quello che soffre maggiormente con un calo di residenti drastico (1.154 residenti in meno). Anche nel Quartiere 5, ilpiù popoloso della città (107.684 nel 2019), i residenti sono calati di oltre l’1%, perdendo 1.151 iscritti all’anagrafe.

Non è possibile né corretto sostenere che il fenomeno a cui stiamo assistendo non si sia mai verificato in Italia: è successo a Bologna, Milano e moltissime altre città. Ciò che, però, rende davvero perplessi è che la percentuale di “esodi” al di fuori Firenze sia tre volte la media nazionale (0.6%). Tornando al dato interessante, e cioè al fatto che la stragrande maggioranza di coloro i quali hanno deciso di lasciare il capoluogo sono famiglie, notiamo che si è aperto un dibattito acceso tra chi sostiene che questo sia da imputare agli alti costi della vita in città e, alle difficoltà economiche conseguenti alla pandemia di Covid-19,  e  chi ha una tesi differente.

 Il demografo Gustavo De Santis, professore di Demografia all’Università di Firenze ritiene che questo declino sia del tutto naturale per due fattori. In primo luogo, dato che il trend degli ultimi anni è quello di famiglie formate, addirittura, da una sola persona è logico che il numero di abitanti in una città vada a diminuire e, per il professore, l’unica soluzione per frenare lo spopolamento è l’immigrazione. In secondo luogo le famiglie con bambini scelgono di risiedere fuori città, semplicemente perché la vita costa molto meno e pur di risparmiare, in questi ultimi anni, ognuno cerca di trovare le soluzioni che ritiene più adeguate. Sicuramente non possiamo dimenticarci della denatalità, un flagello non solo toscano, ma della Penisola intera. A livello italiano, ogni 100 morti ci sono circa 67 nati: anche se, facendo un’ipotesi, quest’anno si invertisse il trend, i primi risultati si vedrebbero tra venti anni.

La paura di molti è quella di vedere un calo talmente drastico di abitanti a Firenze, da rendere il capoluogo una vera città fantasma… e questo fa più effetto in assenza di turisti, che prima riempivano le vie e le straducole fiorentine.

Martina Marradi

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CASTELLO DI SAMMEZZANO: INTERVISTA A MARIO BEVILACQUA

Il Castello di Sammezzano

In occasione del riconoscimento al Castello di Sammezzano, sul podio del censimento del FAILuoghi del Cuore 2020-2021’ è necessario fare luce sugli svariati motivi che ne impediscono l’accesso a studiosi e turisti da molti anni. E’ questo l’argomento su cui verte l’intervista tenuta a Mario Bevilacqua, professore ordinario del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Ecco l’intervista ad opera di Beatrice Carrara.

Intervista a Mario Bevilacqua

1 – Dal suo punto di vista, cosa ha portato le persone a votare per il Castello di Sammezzano, così da fargli aggiudicare il secondo posto del bando ‘luoghi del cuore 2020-2021’ del FAI?

Il castello purtroppo è inaccessibile, soprattutto all’interno. L’eccezionalità del luogo è certamente anche dovuta alla sua collocazione, all’interno di un paesaggio che è quello toscano, all’interno di un parco che è straordinario, importantissimo da un punto di vista botanico e storico. Però un elemento di eccezionalità è soprattutto rivestito dagli spazi interni, e gli spazi interni, purtroppo, non sono più accessibili dal pubblico da molti anni. La fama che il castello si è conquistata è grazie alle immagini che si possono trovare in rete, forse hanno giocato un ruolo importante affascinando molti. Il castello affascina anche in fotografia, ancora di più dal vero. Questa fama lo ha determinato, fama che si è conquistata perché è la testimonianza di un gusto per l’esotico che affascina ancora oggi, e affascinava nell’ottocento. Il modo in cui questo esotico, le decorazioni moresche, che sono declinate ed esposte nel castello, sono un elemento del tutto affascinante. E ha portato a far sì che in molti prediligano questo luogo, anche perché è un luogo unico in Italia. E’ uno degli esempi di eclettismo ottocentesco orientato verso questo gusto esotico moresco tra i più importanti che ci siano in Europa. Dunque una serie di elementi giustificano questa scelta da parte di molti.

2 – La situazione di questa struttura negli anni è andata aggravandosi, e tutt’oggi vi sono ostacoli nell’attuare interventi di restauro. Non capisco come una struttura del genere come quella del castello di Sammezzano, ‘ricercata’ non solo nel panorama Toscano ma anche internazionale, ancora oggi non sia accessibile ai visitatori.

“Purtroppo lì la situazione è molto complicata. E’ complicata innanzitutto dal fatto che adesso la proprietà si trova in una condizione ‘giuridica’ particolare, perché c’è un fallimento e quindi tutto è in mano a un curatore fallimentare e in questi casi naturalmente tutto è sospeso. Non c’è la possibilità di un utilizzo del bene. C’è una situazione giuridica oggettiva, che impone delle limitazioni, e impone una situazione di non accessibilità. Ci sono poi le condizioni materiali di questo edificio che non corrispondono a tutti i criteri di sicurezza, di accessibilità che un bene aperto al pubblico dovrebbe avere. Innanzitutto, questo è dovuto al fatto che questo edificio è stato chiuso comunque, prima delle vicende ultime, per molti anni. Quindi senza una manutenzione o una manutenzione ridotta. E poi è dovuto al fatto che da un edificio ottocentesco non si può pretendere che esso rispetti le normative attuali in materia di sicurezza e accessibilità. E’ poi c’è il terzo elemento che, nonostante tutto il fascino che questo edificio può emanare, questo complesso è difficilmente inusabile in un modo che possa produrre una capacità di sostenersi economicamente in modo autonomo. Perché il problema è: quale può essere la funzione di questo edificio? E’ stato il problema degli ultimi decenni, perché questo edificio è stato trasformato in albergo, questo albergo poi ha avuto delle vicende varie. A un certo punto sembrava avrebbe avuto un radioso futuro: agli inizi degli anni 80’, o fine anni 70’, è stata cominciata la costruzione di un edificio a poca distanza dal castello stesso, che doveva accogliere una sorta di ‘dependance’ di questo albergo. La costruzione di quell’edificio è stata poi bloccata, per svariati motivi, dunque adesso nel parco si trova questa struttura in cemento armato non finita. Alla fine anche queste prospettive alla ricettività alberghiera sono cadute, e quindi a questo punto è un po’ difficile immaginare una funzione che possa essere di nuovo compatibile. Anche perché questo albergo è collegato alla strada provinciale che corre ai piedi della collina ma in modo non immediato. E poi soprattutto gli spazi interni di questo albergo, che a meno di non volerli stravolgere, sono difficilmente utilizzabili per qualunque funzione che non sia meramente museale. E’ chiaro che una funzione museale (ovvero farlo divenire museo di se stesso) non permetterebbe l’esistenza fisica di questo edificio perché non produrrebbe una redditività sufficiente a sostenere la manutenzione. Tuttora questo edificio è inagibile, è vuoto, è lasciato in uno stato di semiabbandono.

3 – In un possibile progetto di riqualifica di quest’area, secondo lei, cosa non dovrebbe mancare per farlo conoscere non solo ai cittadini toscani ma da un punto di vista internazionale ?

Una ‘rinascita’ deve essere legata a un progetto che attivi delle energie di tipo economico, imprenditoriale che possano sostenere la gestione di questo spazio. Sarebbe interessante immaginare un progetto dove vi sia una partecipazione mista, tra pubblico e privato. Non credo che un’acquisizione da parte dello Stato o della regione, ovvero di un soggetto meramente pubblico, potrebbe essere un’azione risolutiva. Perché non possiamo immaginare che il pubblico sia una sorta di grande mamma che protegge tutti a qualsiasi costo, lo sappiamo bene che il pubblico ha dei limiti; limiti legati anche a fattori economici. Secondo me potrebbe essere legato a delle iniziative parallele a delle attività imprenditoriali compatibili. Per esempio lì c’è una situazione interessante: ai piedi della collina c’è il centro commerciale The Mall, a Leccio, che è un outlet del lusso. Premettendo che sono un assertore del bene pubblico, per me il ‘Pubblico’ è il bene più importante. Quindi la collettività deve esprimere una visione pubblica delle cose, possibilmente. Però ci sono delle situazioni in cui il privato, se opera intelligentemente con la sfera pubblica, può dare un contributo determinante. Quella del Castello di Sammezzano è una zona dove l’imprenditoria legata alla moda è importante, c’è una realtà economica che esprime delle idee non solo dal punto di vista imprenditoriale, ma anche da un punto di vista culturale. E non a caso, secondo me, recentemente è stato girato un video da Garrone per Dior proprio all’interno del castello di Sammezzano. Dunque, aprire il castello al pubblico in connessione a qualche funzione legata a questo mondo della moda, alle imprese e al lavoro che vi stanno dietro, questa è una possibile via. Quegli ambienti così straordinari si prestano in maniera perfetta a costituire degli spazi per il ‘sogno’, in fondo gli oggetti di lusso sono oggetti che fanno sognare. Quindi quello potrebbe essere una possibilità, naturalmente questo comporterebbe un progetto che dovrebbe riguardare anche in maniera molto seria il collegamento tra il castello e l’area ai piedi della collina, perché ci sono diverse centinaia di metri di strada sterrata che bisogna fare per arrivare al castello, e non è una cosa da poco. Cosa che in ogni caso, aprendo il castello al pubblico, deve essere affrontata. Un progetto che consideri anche la realtà e la vocazione economica di quell’area potrebbe essere un progetto interessante, e in quel caso potrebbe essere un progetto che avrebbe immediatamente una ripercussione a livello internazionale. Anche perché sappiamo che, fino a quando non è scoppiata la pandemia, veniva frequentato da un grandissimo numero di compratori stranieri. Quindi quello potrebbe essere, secondo me, un modo per rilanciare il castello, ma naturalmente non potrebbe essere l’unico.

4 – Cosa consiglia, dal punto di vista professionale, ai futuri laureandi nel dipartimento DIDA?

Consiglio di non immaginare la professione dell’architetto in modo ‘tradizionale’. Ovvero, se si immagina di entrare in una facoltà di architettura e uscirne come un Architetto di una volta, che fonda uno studio e in seguito diventa una star internazionale in architettura, questo succede a un caso su un milione, gli altri novecentonovantanovemila rimarrebbero frustrati. Allora credo che l’idea che si ha della professione dell’architetto sia ancora un po’ attardata, su tutte le posizioni che riflettono un passato che oramai non esiste più. Altre professioni hanno saputo rinnovarsi in maniera molto più sostanziale, penso ad esempio alla professione dell’ingegnere, dove non si pensa più tanto all’ingegnere libero professionista che nel suo studio ha la sua clientela ecc.., ma si pensa a un professionista capace di inserirsi in un tessuto economico vivace dove si richiedono certe cose anche molto distanti da quelle che un ingegnere di cinquant’anni fa sapeva e poteva fare. Questa mentalità deve essere assunta anche dagli architetti e soprattutto dagli studenti, ovvero devono già sintonizzarsi su questa lunghezza d’onda. Quello che importa non è immaginare di uscire da architettura e cominciare a progettare edifici, magari si possono fare cosa completamente differenti. Perché oggi c’è poco bisogno di progettare ex novo, c’è molto bisogno invece di riqualificare e di gestire. Quindi, bisognerebbe saper orientarsi verso la gestione di un patrimonio, di spazi, di volumi, di paesaggi, di un patrimonio territoriale immenso che deve essere riqualificato, pensato, sistemato piuttosto che immaginare: “esco dalla facoltà di architettura e faccio il progetto che mi dà notorietà internazionale”. Credo che se si ha questa idea, poi si rimarrà delusi.”

Firenze, 17 Marzo 2021