La “tassa” del panino

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Ha destato scalpore nel mondo dello street food fiorentino la proposta del direttore degli Uffizi Eike Schmidt, il quale propone una tassa aggiuntiva sui locali di street food per sostenere i costi necessari per pulire la strada dall’olio dei panini.

Nell’intervista rilasciata al Giorno, Schmidt espone come la maggior parte dei problemi sotto l’aspetto dell’inquinamento da olio sarebbero i turisti che si fermano per un solo giorno nel capoluogo toscano e quindi risparmiano tempo e soldi acquistando panini. Secondo il direttore del museo, una possibile soluzione sarebbe creare dei percorsi alternativi nella città attraverso l’apertura di altre tipologie di locali e incentivare il turismo a Firenze, non solo nel periodo estivo ma anche durante l’inverno che molto spesso viene considerata come bassa stagione per la poca affluenza di turisti.

Tra le iniziative per far fronte all’ondata di turisti che si appresta a venire in città con la bella stagione, sono in fase di elaborazione gli “Uffizi diffusi”, ovvero “un’offerta di più ampio respiro” che metta insieme “territori, cultura, paesaggio, turismo, economia”. L’iniziativa ha lo scopo di disperdere i visitatori, affinché non si concentrino solo in prossimità del museo ma anche nei vari spazi culturali/turistici del capoluogo fiorentino, prediligendo spazi all’aperto oppure immergendosi nei capolavori artistici che la città può offrire, dalle mostre alle attività ludiche.

Inoltre, il direttore, citando sempre l’olio che viene rilasciato dai panini, si sofferma sul danno che l’olio può creare alla pavimentazione dell’esterno del museo, la quale è composta da pietra serena. Infatti per evitare il logoramento della pavimentazione del loggiato e dell’esterno, vengono puliti due volte al giorno dal museo, per evitare che la sporcizia intacchi l’integrità della struttura.

La proposta del direttore del museo ha certamente aperto un dibattito in città sulla cura dei propri monumenti e degli spazi più simbolici della città, ma non solo: ha anche aperto un dibattito con una piccola parte di ristoratori che hanno aperto un’attività di street food all’interno della città, i quali secondo Schmidt dovrebbero pagare una tassa supplementare per garantire al museo e quindi al comune di Firenze un sostentamento per garantire le principali piazze pulite. Il comune per ora non ha preso posizione sull’argomento ma presto potrebbe farlo, anche se il buon senso da parte dei turisti e il loro rispetto per il decoro urbano potrebbe far decadere questa idea. Inoltre i ristoratori si vedrebbero aumentare la tassazione portandoli sempre di più a rinunciare ad aprire nuovi street food e ad investire sulla città.

Federico Brini

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IL PARADISO IN PIAZZA DELLA SIGNORIA

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In Piazza della Signoria a Firenze è stata installata una torreggiante creazione di Giuseppe Penone, uno dei massimi esponenti dell’Arte Povera contemporanea. L’opera in questione porta il nome di Abete e si inserisce tra le numerose iniziative svoltesi per celebrare il settecentesimo anniversario della morte dell’Alighieri.

È un’anticipazione della mostra monografica di arte contemporanea “Alberi Inversi” dedicata a Dante e visitabile nelle Gallerie degli Uffizi dal 1 giugno al 12 settembre 2021, ospitante i lavori di Giuseppe Penone. L’opera è un albero di 22 metri il cui tronco ed i rami sono stati realizzati in acciaio inossidabile mediante lavorazioni complesse, disposti a spirale ascendente. Gli elementi cilindrici appoggiati sui rami metallici dell’abete sono stati modellati in bronzo, realizzati da calchi di bambù. L’ispirazione proviene dalla terzina del canto diciottesimo del Paradiso che recita: “l’albero che vive de la cima / e frutta sempre e mai non perde foglia” perifrasi che indica il Paradiso stesso. L’albero a cui è paragonato il Paradiso riceve vita dalla sommità e non dalle radici, ed i suoi rami indicano il grado di ascesa a Dio attraverso i cieli.

Christo, Installation of Wrapped Trees Riehen, 1998
https://christojeanneclaude.net/artworks/wrapped-trees/

Nel nostro caso il misticismo non è stato abbandonato ma ha mutato di significato; il sottotitolo dell’opera è infatti: “La spirale della crescita vegetale, la spirale della conoscenza”. I frutti non sono anime come nella Commedia, ma pezzi di metallo, e l’ascesa è verso una divinità laica: il sapere. Lo stesso autore ha commentato: “Abete in Piazza della Signoria indica lo sviluppo del pensiero che è simile alla spirale di crescita del vegetale“.

Vedendo l’opera però, il collegamento col paradiso sembra sfuggirci. Tipica dell’Arte Povera è infatti la celebrazione del ritorno alla natura come via di fuga dalla razionalità del sistema capitalistico di cui la quotidianità della fine degli anni 60 era intrisa (e lo è oggi ancora di più), anni in cui il movimento ebbe origine. L’Arte Povera “celebrava (…) il ritorno alla natura e ai processi corporei come via d’uscita dalla razionalità borghese repressiva e dal sistema capitalista” racconta Germano Celant. È un’avanguardia che risente l’influenza del ’68 e mette in crisi il rapporto tra significato e significante. Proprio a causa di questo cortocircuito l’opera risulta di difficile comprensione. Il direttore degli Uffizi Eike Schmidt ha sottolineato come Abete sia un ponte tra la Divina Commedia e la contemporaneità. Quest’ultima non deve esentarsi dalle riflessioni che l’opera in sé suggerisce, come gli aspetti ambientali dell’arte, soprattutto nello spazio urbano antropomorfo. Impossibile non pensare all’impatto dell’uomo sulla natura e di come questo minacci l’Eden paradisiaco sostituendolo con una natura metallica.

La collocazione in una piazza non è casuale: tra il tempo della storia e quello della vita, tra passato e presente. Non è stata la prima opera accolta in Piazza della Signoria che ha fatto discutere l’opinione pubblica. Ricordate nel 2017 Big Clay di Urs Fisher? Forse vi tornerà in mente con le parole di Sgarbi che la definì una “mer** gigantesca”. Quest’anno, il Sindaco Nardella, preparato alle critiche, all’inaugurazione dell’installazione ha affermato: “Quando l’arte fa discutere è arte vera, quando sono tutti d’accordo non è più arte, è marketing”

Cos’è l’arte Povera?

Le vicende dell’Arte Povera sono legate alla figura sopra citata del critico d’arte Germano Celant. È proprio Celant, sul finire degli anni Sessanta, a coniare questa definizione e a redigerne il manifesto. L’Arte Povera è un corrente artistica italiana, settentrionale, di stampo sostanzialmente concettuale… Esatto, l’arte del: “ma questo lo sapevo fare anche io!”.

Il movimento è in aperta polemica con le ricerche della Pop Art e si contrappone alla cultura dei consumi, al conformismo, alla mercificazione dell’artista e alla riduzione dell’opera d’arte ad oggetto commercializzabile.

Contrapposizione resa evidente dagli alberi di Penone che sono il simbolo antitetico del consumo immediato.

Giuseppe Penone, Abete, piazza della Signoria, Firenze © photo OKNOstudio

L’Arte Povera promuove il rinnovamento e l’ampliamento dei materiali impiegati dagli artisti: materiali vivi, elementi naturali, legno, metalli, tessuti organici sono affiancati da materiali di origine industriale. Questa duplicità evidenzia la divaricazione tra il mondo naturale e quello del progresso che caratterizza l’Italia dell’epoca. Siamo di fatto negli anni portati in scena da Antonioni in Deserto Rosso, film la cui poetica, per certi aspetti, riporta alla mente l’Arte Povera, con la sua attenzione ai processi di urbanizzazione del panorama urbano. 

L’Arte Povera si fa beffa del mercato dell’arte e gioca con il concetto di prezzo e valore dell’opera artistica, nonostante ciò non riesce a sfuggirgli, ed i lavori dei suoi esponenti oggi valgono cifre esorbitanti. Basti pensare che tra le personalità che hanno ispirato il movimento vi sono Piero Manzoni e Duchamp.

Ma la carica rivoluzionaria di questa avanguardia è data dalla spiritualità, dall’esistenzialismo di cui le opere si fanno carico, mostrando l’artificio dell’arte per mezzo di illusioni. Infatti, essa rigetta il concetto d’arte così come era conosciuto fino a quel momento e lo rivoluziona. La fruizione delle opere pone interrogativi: questa è la genialità del movimento. Il fruitore si chiede perché stia osservando una determinata opera. L’Arte Povera compie una dichiarazione fortissima ma silente sul concetto di rappresentazione, del tutto nuova. Nel silenzio che lascia una tela dipinta interamente di un solo colore rimbomba la voce della propria coscienza. Il fruitore ha un ruolo attivo e risponde alle domande che l’artista gli pone attraverso le opere.Cosa sono? Chi sono? Di cosa posso fidarmi? L’Abete di Penone è reale o è finzione?”

L’Arte Povera riconfigura l’idea del ruolo della natura nell’arte in un modo del tutto diverso dalla Land art (le famose spirali di Robert Smithson e le installazioni di Christo e Jeanne-Claude, celebri per “impacchettare” paesaggi, alberi, e monumenti).

La Land art esce prepotentemente dai musei, si libera dalla galleria e si inserisce intrusivamente nel panorama. Il suo scopo non è comprendere la natura, anzi, è un arte antropocentrica in cui l’artista stravolge il paesaggio. L’Arte Povera al contrario si interroga con umiltà su cosa sia la natura. Predilige le modalità espositive effimere come la performance e l’installazione. 

E tu cosa ne pensi di “Abete” ? Qual è il suo significato? 

Alessia Bici

LA SCOPERTA DEGLI AFFRESCHI NASCOSTI AGLI UFFIZI

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Ci sono alcune città come Firenze, Roma, Venezia, Milano… in cui ogni volta che si sposta un mattone o si iniziano dei lavori, esiste la probabilità che si stia per trovare qualcosa di inaspettato. Qualcosa che potrebbe cambiare le carte in tavola, o qualcosa che spesso porta le Soprintendenze a cambiare le regole del gioco. Diciamo la verità: forse è un aspetto che caratterizza proprio tutto il Bel paese.

Andiamo per ordine: agli Uffizi è periodo di lavori, di restauri e di riarrangiamenti vari in vista della tanto attesa riapertura. 

La panoplia ritrovata al centro del soffitto
Fonte: 055 Firenze

Questi lavori hanno interessato principalmente l’ala di Ponente del museo, per un totale di circa 2000 metri quadrati finora inaccessibili: sono 8 le sale di Ponente restaurate, 14 le sale al piano terra nell’area di Levante, oltre ad altre 21 nella zona dell’interrato. I “nuovi” spazi disponibili presentano una doppia valenza: da un lato sono da inserire nell’ambito dei lavori per la realizzazione dei Nuovi Uffizi portati avanti dalla Soprintendenza insieme alle Gallerie, condotta dall’architetta Chiara Laura Tettamanti (direttrice dei lavori) e dell’architetto Francesco Fortino; dall’altro lato questi lavori comportano anche un importante riordinamento dell’accesso al complesso, infatti dalla riapertura in poi l’entrata sarà spostata dal lato più vicino all’Arno. 

Sono stati anni, come dichiarato da Eike Schmidt, di “progresso nel recupero degli spazi, progresso che permette ora un accesso al museo più razionale e sicuro, e punti di accoglienza organizzati in modo più efficiente. A breve, quando saranno risistemate le sale a pianterreno dell’ala di Levante, la visita agli Uffizi potrà avere una gloriosa introduzione: nelle sale a pianterreno verrà infatti esposta la statuaria classica, con opere dai depositi e altre recentemente acquistate.” 

Il giovane Cosimo II de’ Medici con le allegorie di Firenze e Siena,
da attribuire al contesto del pittore Bernardino Poccetti
Fonte: ANSA

Ma veniamo alle scoperte: proprio nell’area di Ponente sono riaffiorati due affreschi del Seicento. Uno di questi vede all’interno di un clipeo protagonista il granduca Ferdinando I; l’altro – che si presenta in condizioni di conservazione nettamente migliori – mostra un giovane Cosimo II de’ Medici, ritratto a figura intera e a grandezza naturale con intorno le allegorie di Firenze e Siena, da attribuire all’ambito del pittore Bernardino Poccetti (1548-1612), conosciuto e apprezzato nella Firenze dell’epoca per le sue opere figurative.

Negli spazi del piano terra sono inoltre venute alla luce numerose decorazioni presumibilmente settecentesche e ascrivibili al periodo del regno di Pietro Leopoldo di Lorena. Queste decorazioni sono caratterizzate da motivi vegetali e si sviluppano fra pareti e soffitto; al centro del soffitto trionfa una panoplia con dei fasci littori. 

Questi affreschi saranno visibili al pubblico in quanto facenti parte della zona di ingresso del riordinato museo, le cui opere di restauro e riassestamento, come spesso accade, non iniziano e terminano in loro stesse, ma piuttosto agiscono come una sorta di richiamo dal passato glorioso (e per molti aspetti ancora sconosciuto) del complesso vasariano, che mantiene la capacità di sorprenderci ogni giorno di più.

Daria Passaponti