Jeff Koons a Palazzo Strozzi

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La Fondazione Palazzo Strozzi prosegue il suo percorso di mostre ed eventi di arte contemporanea di straordinario valore: dopo American Art, abbiamo adesso Jeff Koons, lo stesso che nel 2015 si fece promotore di quella new wave che investì una Firenze che, nolente o volente, non poteva fare altro che accoglierla. Questa ondata di contemporaneità, partita con l’installazione di Pluto e Proserpina di Koons alla Biennale dell’Antiquariato di Firenze del 2015 (seguita ovviamente da tutte le polemiche del caso) e proseguita con mostre che hanno portato a Firenze artisti dalla caratura di Andy Warhol, Cindy Sherman, Tomás Saraceno, JR, Weiwei, solo per citarne alcuni, si infrange nuovamente contro una Firenze che timidamente si riaffaccia alla normalità di una vita culturale in ripresa. 

Il titolo della mostra è Shine: l’obiettivo è sottolineare l’ambivalenza esistente fra una lucentezza e uno splendore che spesso è, ma ben più spesso appare

Realizzata in stretto dialogo con l’artista (aspetto che è ormai cifra stilistica delle più importanti mostre alla Fondazione) la mostra si sviluppa permettendo al visitatore di entrare gradualmente nel mondo di Koons, un mondo allestito e illuminato perfettamente secondo modalità che inducono il visitatore a cercare un contatto con l’opera, fisico, tattile, minimo, ma percepito come necessario. Uno degli elementi che emerge dalla ricerca di Koons è certamente il contrasto fra la natura in origine economica dei materiali e il loro effetto dirompente e lussuoso alla vista; l’eccentricità dei colori, la loro vivacità, vuole arrivare a definire e sottolineare la vivacità stessa del capitalismo nelle sue varie declinazioni, portando addirittura alcune sue opere a entrare nell’immaginario collettivo. La sua produzione, che si alterna fra una citazione raffinata alla storia dell’arte e una menzione al mondo consumistico e capitalistico, unisce così cultura alta e popolare. 

Le opere dell’artista pongono l’osservatore davanti a uno specchio in cui riflettersi e lo collocano al centro dell’ambiente che lo circonda: sounds familiar?

L’osservatore, oggi come nei primi esperimenti dell’arte volti allo stesso obiettivo, è parte integrante dell’opera, che così cambia e si evolve a seconda di chi ha davanti. Ripercorrendo quel solco già tracciato da diversi artisti prima di lui, come Duchamp e Warhol, che pone al centro la volontà di privare l’arte contemporanea di quella veste fatta di elitarietà e snobismo, Koons porta il visitatore della mostra a essere parte delle superfici quanto mai splendenti delle sue opere, essendo queste talmente lucide da riflettere anche il più piccolo dei dettagli di ciò che vi si trova davanti, arrivando così a dare estrema importanza anche all’ambiente in cui queste sono inserite. 

Foto riguardo opere di Tintoretto e Gazing Balls, scattata da Gloria Passaponti

L’ambiente in cui troviamo la serie delle Gazing balls è uno solo dei tanti partecipanti a questo dialogo in cui sono incluse anche le opere di Tintoretto e statue appartenenti al mondo antico: queste sono le coordinate disorientanti ma contemporaneamente puntuali in cui l’osservatore, compiendo la semplice azione di osservare un’opera, vi si inserisce. Koons è in dialogo con artisti del passato tramite

la sua celebre palla blu, protagonista indiscussa che attira l’occhio dell’osservatore. Quando è posta sulle tele, questa si appoggia su una mensola in alluminio verniciato attaccato alla parte anteriore del dipinto. 

L’arte, dice Koons, è un accadimento che si verifica nella relazione fra l’artista e l’osservatore: partendo da questo pensiero possiamo ben comprendere come alla base di certe sue opere ci sia quella volontà di inclusione dell’osservatore stesso.

“L’arte è un veicolo che connette tutte le discipline umane: la mia vita è stata trasformata dall’arte, che mi ha consentito di continuare a vivere in un contatto con i nostri predecessori. Quando ci si rende conto di questo, ci si apre di più anche agli altri, c’è la rimozione del giudizio e delle segregazioni. Mi piace tantissimo, amo Michelangelo, Verrocchio; Rubens si rifaceva a Leonardo, Verrocchio e Masaccio: è questo amore che ci consente di divenire. Shine riguarda l’accettazione di sé e degli altri per una vita più significativa.”  

 – Koons

Foto sempre della serie gazing balls con statua classica (dialogo con l’antichità), Gloria Passaponti

Il titolo “Shine” è stato oggetto di riflessione durante la conferenza stampa che è stata organizzata in occasione dell’apertura, il 30 settembre, al Cinema Odeon di Firenze. La conferenza ha visto realizzarsi un dialogo fra l’artista, che con la sua presenza ha rimarcato la sua gratitudine verso la città di Firenze, e altri importanti personaggi, fra cui ricordo in particolare la Professoressa di Lingua Sanscrita, Letteratura e Tradizioni Culturali Indiane dell’Università degli Studi di Firenze Fabrizia Baldissera, Arianna D’Ottone, Professoressa di Lingua e Letteratura Araba dell’Università della Sapienza di Roma, Donatien Grau, Head of Contemporary Programs del Musée d’Orsay e Professore all’Ecole Nationale Supérieure des Art Visuels di Bruxelles, Alberto Legnaioli, (Post-doc research fellow in Ebraico presso l’Università degli Studi di Firenze, e Monsignor Timothy Verdon, il Direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore. L’incontro ha visto la moderazione da parte dei curatori della mostra Arturo Galansino e Joachim Pissarro, Professore di Storia dell’Arte dell’Hunter College di New York. Il focus è stato quello di riflettere partendo da più punti di vista sul significato della parola shine, cui si legano concetti spesso fra loro anche in antitesi, ma sempre in stretto legame con la storia dell’arte, la spiritualità e la filosofia.

Il presidente della Fondazione Palazzo Strozzi, Giuseppe Morbidelli durante l’evento di apertura ha invitato i presenti a soffermarsi sul fatto che il verbo riflettere sia allo stesso tempo un verbo transitivo e intransitivo. Le opere di Koons a suo avviso hanno questa doppia portata, doppio significato: da un lato, per il loro materiale brillano e riflettono e trasmettono la luce, ma dall’altro il motivo di fondo delle opere artistiche è quello di invitare lo spettatore/visitatore a un dialogo con l’opera, a una riflessione. Il visitatore concorre all’opera d’arte che è così un’opera d’arte condivisa, non unilaterale e calata dall’alto. Lo spettatore completa la narrazione, e partecipa così al suo significato e al suo messaggio. 

L’artista ha riproposto le forme archetipiche di uomo e donna ma sotto la lente dei materiali
e delle ricerche della mdoernità.
Gloria Passaponti

“Firenze è sempre stata grande quando è stata anticamente moderna e modernamente antica”. Citando Giorgio Vasari, è stato ricordato durante la conferenza stampa che la vera modernità non è la rilettura del passato, non è un maquillage di ciò che siamo stati, la modernità è il mettere in discussione lo status quo: questa è la forza del rinascimento come oggi è quella dei nostri artisti. 

Koons ha potuto affermare che non c’è niente di più gioioso nella vita che seguire le cose che ci incuriosiscono; e allora lo ringraziamo Koons, per averci dato nuovamente la possibilità di essere curiosi, di appassionarci e di affascinarci.

Daria Passaponti

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American Art a Palazzo Strozzi

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American Art 1961-2001: la prima grande mostra dopo l’estenuante chiusura dei musei. Palazzo Strozzi conferma per l’ennesima volta il suo ruolo di punta nella diffusione dell’arte contemporanea nella capitale del Rinascimento.

L’Università di Firenze ha dato la possibilità agli studenti frequentanti il seminario sulle culture visive della contemporaneità, tenuto dai professori di Storia dell’Arte Contemporanea Giorgio Bacci e Tiziana Serena, di addentrarsi e scorgere più da vicino gli elementi caratterizzanti di questa mostra: ripercorrendo la storia degli Stati Uniti dagli anni ‘60, anni dell’inizio della Guerra del Vietnam, fino al tragico 2001. 

L’arte di questi lunghissimi quanto volatili 40 anni è celebrata grazie a oltre 80 opere di 55 artisti: fra gli altri, il monumentale Andy Warhol, la denuncia di Barbara Kruger e la provocatrice Cindy Sherman. Ma andiamo per ordine. 

Alcune di queste opere saranno esposte per la prima volta a Firenze, grazie alla preziosa collaborazione con il Walker Art Center di Minneapolis, il cui fautore è proprio il curatore e direttore associato dello stesso centro, Vincenzo de Bellis

Grazie al suo lavoro e a quello dell’altrettanto fondamentale Arturo Galansino, di cui abbiamo già avuto modo di parlare nell’articolo riguardante la Ferita di JR sempre a Palazzo Strozzi, si avvia dunque il 28 maggio, per chiudersi poi il 29 agosto 2021, una mostra che rilegge questi anni così dinamici e ricchi di eventi, ricordando che l’arte, di fronte ai più disparati fenomeni, bellici, sociali e antropologici, non ha mai taciuto. La mostra ce lo racconta affrontando le varie tematiche che costellano questo periodo, come la nascita della società dei consumi, il femminismo, le lotte per i diritti civili, le questioni di genere, tutto intriso dell’incertezza mascherata dal sogno americano che è stato propinato ai più in quegli anni. 

Cosa si cela dietro al sogno americano?

Certamente si celano le riflessioni sulla figura della donna di cui Cindy Sherman investe il ruolo di portavoce, si celano le influenze più o meno radicate e palesi provenienti dal mondo della pubblicità di Richard Prince e Barbara Kruger; si cela il terribile stigma dell’AIDS raccontato da Felix Gonzalez-Torres, le narrazioni posthuman di Matthew Barney che, con l’inquietudine che solo lui è in grado di far calare sulle cose, presenta, quasi sbatte in faccia al visitatore. Dopotutto, l’obiettivo di tutti loro e di tutti coloro che hanno operato nel loro importante e profondo solco artistico-culturale, hanno questo obiettivo: sbattere in faccia alla gente quello che succede. 

E no, non esiste, nell’America degli anni che vanno dal 1960 al 2001 (e nemmeno dopo, forse) un modo “carino” e “delicato” di farlo. 

La verità è questa, la verità è l’espressionismo di Mark Rothko e la sua tragicità dei colori che rifiutano un segno a cui sottostare, la verità è quella di Louise Nevelson e delle sue cassette/reliquiari assemblate con il legno, quello stesso legno a cui diceva di parlare. La verità è quella di Carolee Schneemann, l’artista che voleva essere chiamata pittrice ma che rimase famosa soprattutto per le sue performances, l’artista che con le sue opere, mai prive di uno sfondo di denuncia, ha raggiunto enormi traguardi in termini di consapevolezza e dialogo con un pubblico sui temi della sessualità e dell’erotismo, del femminismo e delle questioni di genere. 

Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana ha dichiarato: “Quello di oggi è un evento simbolico: la ripartenza della cultura in presenza a Firenze con questa mostra che ci fa percorrere un itinerario di grande rilevanza non solo sul piano artistico ma anche sociale. Quest’anno è” (il ventesimo) “anniversario del dramma delle torri gemelle. Con le torri gemelle è nato il terrorismo internazionale che ha fortemente condizionato il mondo. In 15 anni di attività la Fondazione Palazzo Strozzi fondata nel 2006 è riuscita ad esprimere la vitalità e la centralità dell’arte e questo è molto importante perchè alterna la storia del ‘Rinascimento senza fine’ alla contemporaneità con artisti come JR. La mostra che presentiamo oggi aiuterà sicuramente a rilanciare il turismo di Firenze e di tutta la Regione”

La mostra prosegue anche online attraverso la piattaforma American Art On Demand: grazie a un progetto in collaborazione con il Cinema La Compagnia-Fondazione Sistema Toscana e MYmovies, i possessori del biglietto di ingresso alla mostra potranno entrare nella sala virtuale “Più Compagnia”, che consta di una selezione di opere video fruibili in streaming che testimoniano il lavoro di artisti come Vito Acconci, Nam June Paik, Dara Birnbaum e Dan Graham. Questi artisti hanno utilizzato le immagini in movimento nell’ambito della performance, dell’arte concettuale e dell’estetica che caratterizza il periodo postmoderno.

La mostra, secondo Arturo Galansino, vuole dare un segnale di ripartenza per la vita sociale e culturale di Firenze e della Toscana (…) celebrando l’arte americana affrontando anche importanti temi come le lotte per i diritti civili e il ruolo della donna nell’arte. Per questa mostra si devono ringraziare come sostenitori: il Comune di Firenze, la Regione Toscana, la Camera di Commercio di Firenze, la Fondazione CR di Firenze, il Comitato dei Partner di Palazzo Strozzi, l’intesa Sanpaolo, l’Enel, e infine come premium sponsor Gucci.

Orari mostra:

Lunedì-venerdì: 14:00-21:00

Sabato, domenica, festivi: 10:00-21:00 

Fine mostra: 29 agosto 2021

Daria Passaponti

Il manifesto della mostra American Art 1961-2001

Fonte: Palazzo Strozzi

Una delle sale della mostra

Fonte: Firenzetoday

Sala della mostra

Fonte: Firenzetoday

LA FERITA APERTA NELLA CULTURA ESPOSTA A PALAZZO STROZZI

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A circa un anno di distanza dalle prime misure adottate dal nostro paese per contenere l’emergenza sanitaria da Covid-19, si è diffusa la tendenza a fare una sorta di bilancio generale alla luce dell’anno passato. Il risultato di questo bilancio, per quanto riguarda l’aspetto legato alla cultura, ci è presentato da JR, artista contemporaneo francese, attraverso “La Ferita”, (The Wound), opera site-specific che sarà visibile fino al 22 agosto 2022.
JR ama definirsi un photograffeur, avendo fuso nella sua carriera la fotografia e la street art in declinazioni sempre più collettive e legate alla dimensione urbana: è uno di quegli artisti che ciclicamente ricorda al pubblico i caratteri dell’arte site-specific, “inscindibilmente connessa al contesto architettonico, politico, sociale, istituzionale e culturale per cui è concepita”, definizione che dobbiamo alla critica coreana Miwon Kwon.

La Ferita vista dall’angolo di Via degli Strozzi

Il 19 marzo 2021 Firenze si sveglia con questa enorme (28m. per 33) Ferita: circa 80 stampe fotografiche su pannelli di alluminio compongono un fotomontaggio anamorfico, a metà strada sulla strada infinita dell’arte e della cultura.
Questo trompe-l’œil che squarcia il palazzo porta con sé diversi riferimenti: nella parte alta si trova una scala fittizia che riproduce l’ingresso verso la Biblioteca dell’Istituto Nazionale di studi sul Rinascimento, realmente ospitata negli spazi del palazzo. A seguire, verso il basso, la riproduzione di celebri opere (non conservate realmente nel palazzo) ci ricorda quanta bellezza si celi dietro quelle mura chiuse dal Covid e, almeno metaforicamente, abbattute da JR.


Un altro lemma che JR utilizza nel suo discorso più che mai poliedrico è quello della corrente settecentesca del rovinismo, che esaltava testimonianze di edifici appartenenti a un tempo ormai trascorso, con una sorta di sospiro nostalgico cui affidarsi in momenti di inquietudine generale, momenti come questo.
JR sceglie il bianco e nero come abito vintage da far indossare a una situazione più che mai attuale, creando un contrasto concettuale molto forte fra impressione del passato e consapevolezza del presente. La scelta b&w, ormai caratterizzante delle sue opere, proietta il fruitore in una dimensione che a primo acchito non gli pare la sua, è per forza qualcosa di passato, è in bianco e nero! E invece no, JR denuncia e punta un enorme occhio di bue sulla situazione culturale contemporanea, che quasi sanguina, in b&w.

La cultura è stato uno dei settori che più ha subito il colpo ma, a differenza di altri, è anche uno di quelli che ha fatto meno rumore nella caduta: le persone che frequentano i musei, i teatri, i cinema e i vari luoghi culturali erano (o sono?) viste spesso come persone che usufruiscono di un qualcosa in più, qualcosa da fare nel tempo libero, quindi queste azioni venivano assoggettate a una dimensione ritenuta quasi futile, un je ne sais quoi di superfluo. Lo è?


JR dimostra che non è così portando moltissime persone (fra cui anche i fortunati studenti riusciti a rimanere a Firenze) a fermarsi davanti alla sua opera: perché le persone si fermano? Forse qualcuno si fermerà per curiosità, ma la curiosità si sa, dura poco ed è presto superata; allora perché con lo sguardo, anche dopo aver vissuto il momento di mera curiosità, si rimane a fissare quella facciata? Perché, nel profondo, qualcuno di noi vorrebbe poter fare un passo dentro quest’opera, perché quello che JR mette a nudo, questa Ferita, è presente in ognuno di noi. Una volta consapevoli (grazie all’azione dell’artista) del senso di nostalgia che proviamo verso i luoghi della cultura, il rischio è quello di fare pace con questo sentimento di nostalgia, di abituarsi: JR sembra condurre con quest’opera una battaglia per far sì che nessuno di noi si abitui all’idea di un museo chiuso.


Dopo tutti questi mesi passati davanti alle porte serrate degli Uffizi, piuttosto che del Bargello o di tutti gli altri fiori all’occhiello di Firenze, questa ferita aperta nella facciata di Palazzo Strozzi diventa, come ha dichiarato il Direttore della Fondazione Arturo Galansino, “un invito a ritrovare un rapporto diretto con l’arte e una sollecitazione per nuove forme di condivisione e partecipazione”.


Sono mesi e mesi che i musei cercano di arrivare più vicini al pubblico, attraverso digitalizzazioni, mostre online e iniziative limitrofe. Per portare il museo dal pubblico non è bastato il digitale (per quanto abbia fatto certo il possibile) ma è stato necessario un artista: per un secondo, davanti a Palazzo Strozzi, si è ricreato il sodalizio fra artista, museo e pubblico. In un momento storico dove nulla sembra trovare un suo equilibrio infatti, JR ha dato uno scossone alto 28 metri e largo 33 alla situazione, riportando all’attenzione del pubblico, della stampa e del mondo accademico che la cultura è una priorità; forse, si tratta solo di cimentarsi alla ricerca di soluzioni nuove e sicure.

Come afferma nel suo libro del 2015 Can art save the world?:

Images are not special. It is what you do with them”.

Daria Passaponti