Uno scrigno di artigianato

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L’Opificio delle pietre dure è noto per il centro di restauro che sorge nella città di Firenze. La sua fama l’ha conquistata grazie ai numerosi restauri che ha svolto in tutta Italia, con l’intento di riportare le opere al loro originale splendore nell’ottica del progetto originale dell’artista. Un esempio recente è il Nano Morgante di Agnolo Bronzino, la cui particolarità ce la tramanda lo stesso Giorgio Vasari, nell’essere dipinta sia sul fronte sia sul retro: «Ritrasse poi Bronzino, al duca Cosimo, Morgante nano, ignudo, tutto intero, et in due modi, cioè da un lato del quadro il dinanzi e dall’altro il didietro, con quella stravaganza di membra mostruose che ha quel nano: la qual pittura in quel genere è bella e meravigliosa» (Vasari, Vita del Bronzino). 

La tela è datata 1553 in base al numero di inventario Mediceo, che in quell’anno la collocava presso il Guardaroba dei Granduchi a Palazzo Pitti. Nell’Ottocento fu soggetta a pesanti ridipinture volte a dare l’aspetto del Dio Bacco al Nano Morgante. Ecco dunque che furono coperte le nudità con grappoli di vite; nelle mani vennero poste un’anfora e una coppa e oscurata la ghiandaia sullo sfondo. Queste aggiunte furono rimosse solo nel 2010 grazie ad un lavoro di restauro delicatissimo condotto dall’Opificio, che ha permesso di ripristinare l’originale intento di Agnolo Bronzino nei confronti di Cosimo I de’ Medici, e al Nano Morgante per la sua dignità di abile cacciatore di uccelli, celebrata dalle fonti storiche.

La storia dell’Opificio la possiamo ripercorrere passo dopo passo nel suo Museo in Via degli Alfani, dove si colloca anche una delle tre sedi di laboratorio di restauro (le altre due rispettivamente a Palazzo Vecchio e alla Fortezza da Basso), oltre alla storica Biblioteca e l’archivio dei restauri compiuti. L’attuale percorso museale è frutto della ristrutturazione architettonica avviata nel 1995 su progetto di Adolfo Natalini, e del riordino della raccolta a cura di Anna Maria Giusti. Il progetto finale diviene un riflesso della vita e delle vicende della secolare attività produttiva di questo luogo.

CENNI STORICI

L’Opificio sorge nel 1588 per il decreto del Granduca Ferdinando I de’ Medici, con la volontà di portare a termine il sogno della Basilica di San Lorenzo, di ricoprirla di marmi pregiati. Dunque, coloro che si formavano presso l’Opificio dovevano diventare abili artigiani nella lavorazione delle pietre.

L’interesse verso queste tecniche di lavorazione vi era già al tempo di Lorenzo de’ Medici e continua spassionata con Cosimo I de’ Medici, interessato soprattutto al porfido in quanto materiale nobile e duraturo, legato alla tradizione della Roma Imperiale. 

È proprio nel periodo di Cosimo che si posero le basi per la fioritura del “commesso” fiorentino, tecnica di lavorazione di marmi e vetri colorati che si sviluppa sin da subito nell’Opificio, destinata a diventare tecnica identificativa di Firenze e dei suoi manufatti artigianali. Infatti, l’attività e il successo internazionale della manifattura fiorentina proseguirono ininterrottamente per oltre tre secoli.

IL COMMESSO 

Il commesso è una tecnica raffinatissima e abilissima che si può definire pittura di pietra, si avvale delle cromie naturali di pietre e vetri colorati, tagliate sapientemente e accostate a formare l’immagine di insieme. L’acutezza tecnica e il pregio dei materiali contribuirono all’immediata e durevole fortuna di questo genere di mosaico, che in sé fa trionfare la meraviglia della natura e dell’arte tecnica.

Un esempio eccelso di questa tecnica lo possiamo ammirare presso la Cappella dei Prìncipi nella Basilica di San Lorenzo. La costruzione si avvia nel 1604 per volontà del granduca Ferdinando I. L’intento era di costruire una grandiosa cappella funebre destinata a perpetuare la memoria della dinastia dei Medici. Tutt’oggi continua a lasciare senza parole e forse anche senza fiato ogni visitatore, che diviene spettatore del bagliore e della ricercatezza di pietre e metalli pregiatissimi. 

Tanto era ambizioso il progetto che i Medici non ebbero la fortuna di vederla finita: si concluse solo nel secolo successivo sotto la dinastia degli Asburgo Lorena. 

In una sezione del Museo dell’Opificio delle Pietre dure sono raccolte parte dei progetti e delle opere di questa plurisecolare impresa della Cappella, tra i quali la serie di dieci pannelli destinati all’altare. 

O ancora il busto monumentale di Cosimo I de’ Medici, concepito da Bernardo Buontalenti e Lorenzo Latini. Dovete sapere che, secondo l’iniziale progetto, le attuali statue funerarie dei Granduchi nella Cappella dei Prìncipi dovevano essere scolpite in marmi policromi; solo successivamente furono eseguite in bronzo. 

Nel Seicento si affermarono nei mosaici fiorentini soggetti naturalistici di fiori, frutta e uccelli che predominano nella decorazione dei manufatti fino al tardo Settecento. Questo motivo si ritrova anche nell’acceso dialogo tra pittori, scultori, orafi, ebanisti e maestri di pietre dure nella creazione di opere. Questa peculiarità senza tempo permette alle loro finezze tecniche ed inventive di combinarsi nella creazione di oggetti unici, anche grazie alla meditata scelta del materiale prezioso.

Molte volte utilizzavano il commesso e il rilievo di pietre dure in abbinamento con altri pregiati materiali, quali il bronzo dorato, l’ebano, l’argento nel concepimento di tavoli, stipiti, cornici, reliquiari, orologi e cassette, insomma negli oggetti d’uso più svariati e ricercati al tempo.

Un nome da non dimenticare è Giovan Battista Foggini eccelso scultore e architetto del periodo barocco che lascia la sua firma nella città di Firenze. Il Foggini a fine Seicento diresse la manifattura con un nuovo impulso, volto a utilizzare le tecniche di maggiore pregio fino ad allora sviluppatosi, nella creazione di opere nuove, inimitabili e sbalorditive.

Nel piano sopraelevato del Museo è esposta la vastissima gamma di pietre preziose in cui la Casata Medicea investì enormi ricchezze e sconfinata passione nella ricerca delle pietre più pregiate che confluirono a Firenze da tutto il mondo allora conosciuto. Per coloro che amano i materiali poter vedere le venature e le tonalità di queste pietre è un vero divertimento, e vi do la certezza che vi lasceranno senza parole.

Sempre in questa sezione, dedicata alle tecniche di lavorazione, sono presenti i banchi da lavoro ottocenteschi. Ebbene sì, perché l’elevatezza e la ricercatezza di questa lavorazione non poteva essere ottenuta con banchi da lavoro qualsiasi. Ecco dunque i banchi studiati e creati appositamente per operare questa tecnica: sono dotati di raschietto e seghetto con cui si tagliavano le pietre con la precisione analitica che solo l’artigiano poteva determinare.

Dal 1737, con il sorgere del governo Lorenese del Granducato di Toscana, si abbandonarono gradualmente i tradizionali temi naturalistici su sfondo nero a favore di vedute paesaggistiche, spesso su ispirazione di pitture su tele. Infatti, molti pittori collaborarono con la manifattura, e le loro opere furono un punto di ispirazione nuovo per creare le opere a commesso.

Presso il museo possiamo ammirare l’accuratezza del commesso che riesce a reinterpretare con le pietre le pennellate pittoriche sulle tele, quasi da non credere.

Nel periodo post-unitario la Manifattura iniziò a conoscere una crisi irreversibile, l’Opificio dovette autofinanziarsi vendendo le sue produzioni recenti e antiche. 

Inoltre, i riconoscimenti internazionali conquistati dalle Esposizioni Universali non determinarono una conquista dal punto di vista economico per l’Opificio a causa della concorrenza agguerrita degli artigiani Fiorentini, che vendevano mosaici più scadenti ma meno costosi. Fu proprio allora che al direttore del tempo Edoardo Marchionni, nell’intento di cercare nuovi sbocchi per il patrimonio di risorse tecniche e manuali ormai secolari dell’Opificio, venne il colpo di genio: dare il via ad un’attività di restauro delle opere artistiche!

Allora il restauro era una pratica nascente, e fu grazie a quella brillante idea, che possiamo affermare che il restauro, ancora prima di salvare le opere d’arte, ha saputo mantenere viva e funzionale fino ai giorni nostri l’antica istituzione medicea.  Iniziò dunque quell’evoluzione dell’Opificio da manifattura artistica a laboratorio di restauro che oggi tanto abbiamo a cuore. 

Beatrice Carrara

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