Master “Museo Italia: allestimento e museografia”

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L’Università degli Studi di Firenze ha istituito per il secondo anno il Master di secondo livello in allestimento e museografia per gli studenti di architettura, ingegneria civile, ingegneria edile e design. Il master si pone l’obiettivo di formare figure professionali in grado di operare nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese. Le domande di ammissione devono essere presentate entro e non oltre il 18 gennaio 2022, mentre il corso inizierà l’11 marzo 2022 e avrà una durata di dodici mesi. Il corso si suddivide in moduli didattici che affrontano differenti aspetti della disciplina, dalle strategie comunicative e di marketing, allo studio della progettazione dei musei e dei relativi allestimenti, dalla storia della museografia, a studi di design. 

Parlare di un Master in museografia può alimentare in noi la curiosità sui musei, in quanto  sono luoghi nobili, ricchi, preziosi e densi di significato. Perciò apriamo una breve parentesi sulla loro storia. 

Breve accenno alla storia dei musei 

Il termine museo deriva dal greco antico e significa “luogo sacro alle Muse” (per la mitologia classica esse erano figlie di Zeus e protettrici delle arti e delle scienze). Il museo è un luogo di conservazione dei reperti storici, scientifici, tecnologici, artistici, archeologici (e potremmo andare avanti un bel po’ nella nostra lista), a servizio della società. Lo scopo primario non è solo quello di conservare, ma anche promuovere la conoscenza e la cultura e ovviamente stimolare il progresso scientifico. 

Fino al XVIII le opere d’arte venivano riprodotte dagli artisti su commissione di grandi casate nobiliari che collezionavano tali opere nelle proprie abitazioni. Lo scopo era celebrare le virtù, le qualità e le doti della famiglia mostrandole ad altri nobili, che si sarebbero recati presso la loro abitazione. Come possiamo comprendere, l’accesso a queste opere d’arte era estremamente selettivo; inoltre si tendeva a privilegiare la presenza di un’innumerevole quantità di quadri presso i muri delle stanze principali, piuttosto che avere un singolo quadro attaccato alla parete: si preferiva che gli ospiti rimanessero colpiti dalla quantità dei quadri presenti, piuttosto che dalla loro qualità, peculiarità e originalità. Ecco perché si parla di esposizione dei quadri ad “incrostazione“. Con l’avvento dell’Illuminismo alcuni nobili aprirono le loro collezioni d’arte a un gruppo ristretto di persone che, però, doveva presentare uno specifico status socio-economico e una determinata provenienza. L’avvento di uno spazio espositivo aperto al grande pubblico, senza distinzione alcuna, è avvenuto il 19 settembre 1792 quando il ministro francese Roland sancì il trasferimento di tutte le collezioni appartenenti al sovrano di Francia alla nazione francese: da questo momento le opere iniziarono ad appartenere al pubblico in quanto proprietà dello Stato.

Con L’ascesa al potere di Napoleone Bonaparte si iniziarono a raccogliere le opere d’arte più significative non soltanto della storia di Francia, ma di tutti i Paesi che sarebbero stati gradualmente conquistati dal condottiero francese. L’obiettivo era quello di costituire un museo in grado di raccogliere e documentare lo sviluppo della storia dell’arte, disciplina che di lì a poco sarebbe nata ufficialmente, sul continente europeo. Anche l’Italia ne venne colpita profondamente, perché moltissime sue opere d’arte vennero confiscate e portate in Francia come pegno di guerra (il Bel Paese, infatti, fu conquistato nel 1796 da Napoleone). Non dobbiamo pensare, però, che tutti i pensatori e gli intellettuali francesi fossero concordi con questo atto: molti di loro ritenevano che ciascuna opera d’arte dovesse rimanere ancorata con il territorio che l’aveva vista nascere e per questo non poteva affatto essere sradicata dal suo luogo di origine. Con la caduta di Napoleone Bonaparte, nel 1815, e il Congresso di Vienna, molte opere ritornarono ai rispettivi Paesi di origine e l’Italia, ancora non ufficialmente unificata, si rese conto della ricchezza e vastità delle proprie opere d’arte, le quali necessitarono di essere protette e tutelate. Ciò risultò essere molto complesso dal momento in cui, come abbiamo detto poc’anzi, non esisteva una Italia unita, ma successivamente alla sua nascita venne varato un decreto regio che permise al Governo di sancire che tutti i beni preziosi e le opere d’arte sul territorio italiano dovessero essere riunite in musei provinciali. Inizialmente questa decisione comportò scontento da parte di tutti quei comuni che si sentirono privati delle loro opere e ciò spinse alla creazione di musei civici: si mostrò ancora una volta la necessaria preservazione del rapporto tra l’opera d’arte e il suo territorio a prescindere dalla qualità o dal valore artistico del manufatto. 

Qualche pillole di informazione 

Dopo questa breve premessa storica è interessante analizzare alcuni musei che sono conosciuti a livello mondiale proprio per le loro caratteristiche peculiari. Partiamo dal primo! 

Secondo alcuni studiosi il primo museo della storia risale addirittura al 530 a.C. Siamo in Mesopotamia, per essere più precisi presso l’antico Stato di Ur. La principessa Ennigaldi, figlia dell’ultimo re dell’impero neo-babilonese decise di costituire quello che poi sarà definito come il museo di Ennigaldi-Nanna. Gli scavi archeologici che furono condotti nel tempio/museo riportarono alla luce decine di manufatti ordinati ed etichettati in tre lingue diverse.  Il Museo di Alessandria, in Egitto, è considerato, a livello mondiale, come il primo vero museo della storia.  Era un edificio dedicato alle Muse che venne eretto da re Tolomeo I, a cavallo tra la fine del 300 a.C. e gli inizi del 200 a.C. Tale luogo non era solo dedicato al culto, ma ospitava anche una comunità scientifica e letteraria. Il primo museo che può definirsi come tale secondo la nostra attuale definizione sono i Musei Capitolini a Roma. Nel 1734 Papa Clemente XII fece costituire il primo museo aperto al pubblico come lo si intende attualmente: in questo museo le opere erano fruibili a tutti e non solo ai legittimi proprietari. Il museo più visitato al mondo è invece il museo del Louvre a Parigi con 8.5 milioni di visitatori all’anno, non considerando ovviamente i due anni di pandemia da COVID-19, che ha abbattuto enormemente la quantità di visitatori ed i musei aperti. Il museo più piccolo al mondo si trova a Monza e si chiama Mimumo. È un Museo da Guinnes dei primati: 2,29 metri quadrati di superficie. Uno dei musei più strani al mondo è il Museo del carro funebre a Barcellona dove sono esposti diciannove collezioni di carri funebri in base al periodo storico. Ad Anzola dell’Emilia, si trova il Museo del gelato: 1000 metri quadrati dedicati a uno dei dolci più buoni e golosi al mondo. 

Come possiamo ben comprendere la lista è particolarmente lunga e sicuramente ci sono musei per qualsiasi tipo di visitatore. Una cosa è certa: è importante raggiungere le competenze necessarie ad operare consapevolmente in un ambito complesso e mutevole come quello dei musei. Un buon museo, organizzato in maniera consona al suo scopo, saprà valorizzare il patrimonio culturale materiale, immateriale e paesaggistico di qualsiasi territorio.

Martina Marradi 

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Master Unifi per assistere gli orfani vittime di femminicidio

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Il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ogni giorno, alla televisione, sui giornali, alla radio, sentiamo risuonare la stessa terribile parola. Femminicidio. E come se non bastasse, spesso assistiamo a persone che addirittura sminuiscono il problema e parlano solo di esagerazioni. No, purtroppo non ci sono esagerazioni. Il femminicidio è reale ed è necessario parlarne. Introdurre questo tema è molto difficile, in quanto internamente complesso e articolato, ma è giusto cercare di delinearne le caratteristiche essenziali dato che l’Università degli Studi di Firenze ha proposto un Master per tutti coloro che vorranno occuparsi di assistenza di orfani vittime di femminicidio. Come si legge sul sito dell’Ateneo fiorentino il “Master è rivolto ai professionisti del settore socio-educativo, dell’assistenza sociale e socio-sanitaria e a tutti i gestori di processo e di sistema, di qualsiasi formazione accademica, allo scopo di implementare conoscenze e competenze per gestire il complesso intervento nelle situazioni post-femminicidio. Il percorso di formazione di Master è finalizzato a creare le conoscenze e le competenze psico-socio-educative per un intervento globale sul soggetto e per la creazione di un sistema professionale che ha il compito di coordinare, gestire e partecipare alla presa in carico dei minori orfani di crimini domestici”. Il Master inizierà a marzo 2022 e avrà una durata di 12 mesi. 

Che cos’è il femminicidio? 

Il primo utilizzo della parola “femminicidio” inteso come uccisioni di una donna da parte di un uomo, per motivi misogini, appartiene al 1990 per opera della docente femminista di Studi Culturali Americani Jane Caputi e dalla criminologa Diana E. H. Russell. Quest’ultima vide nella pratica del femminicidio una vera e propria categoria criminologica, cioè quella di un uomo che uccide una donna in quanto convinto della esistenza di una struttura patriarcale entro la quale quest’ultima deve essere sottomessa in ogni modo e con ogni mezzo. Per molte studiose femministe il femminicidio non è soltanto l’atto in sé, ma anche il contesto: ciò significa che non dobbiamo considerare solo il gesto commesso, ma anche lo spazio entro il quale il gesto è stato compiuto. Un ambiente dove la violenza sulle donne è una costante, dove si sminuisce il problema della misoginia, dove si impedisce alle donne di esprimere la propria voce e dove c’è omertà, è un luogo dove il femminicidio si radica maggiormente. 

Secondo altri studiosi il femminicidio sarebbe l’azione scaturita al culmine della violenza perpetrata ad una donna, ovvero il momento nel quale lo stupro, la schiavitù sessuale, le mutilazioni genitali  causano la morte della stessa. È necessario ricordare, però, che non tutti gli omicidi di donne sono considerati dei femminicidi: se una donna viene colpita e uccisa durante un furto nella sua abitazione non parliamo di femminicidio, in quanto questo concetto è connesso ad una visione patricentrica della società dove l’uomo deve sottomettere la donna tanto a livello privato quanto pubblico. 

 Le tipologie di femminicidio 

La categoria più nota e conosciuta di femminicidio è il femminicidio intimo, tanto che quando parliamo di femminicidio implichiamo generalmente proprio questo genere di omicidio. Il femminicidio intimo consiste nell’uccisione di una donna da parte del suo partner. Le cause sono varie, ma generalmente l’atto accade al culmine di una lite per gelosia o dopo la rottura della coppia, quando il compagno non riesce a sopportare che la donna lo abbia lasciato. Si parla invece di femminicidio indiretto quando il compagno decide di uccidere i figli, affinché la moglie provi un dolo

re più forte della sua stessa morte. Il delitto d’onore, invece, consiste nell’uccisione di una donna da parte del compagno o dei familiari di lui o di lei: la donna, avendo compiuto gesti che hanno macchiato l’onore della famiglia, viene “condannata a morte” dalla stessa. Questi gesti possono essere: aver rifiutato un matrimonio combinato, aver tradito il marito, non arrivare casta al matrimonio, volere il divorzio. In Italia il delitto d’onore era contemplato: esso comportava un importante sconto di pena, ma era valido esclusivamente per l’uomo. Venne abrogato nel 1981. La morte per dote consiste nell’uccidere o indurre al suicidio una donna a causa della sua dote. Questa pratica è estremamente presente in Paesi come il Pakistan e l’India. Proprio in quest’ultimo Paese, tra il 1999 e il 2016 quasi il 50% dei femminicidi erano legati all’omicidio per dote. Nel subcontinente indiano per tradizione ogni ragazza deve portare alla famiglia dello sposo una dote, la quale può consistere in oro o elettrodomestici, arrivando anche ad indebitare le famiglie delle spose. Ma qualora le ragazze non fossero in grado di portare una dote effettivamente consistente, o non riuscissero a pagare i loro debiti vengono uccise, spesso dalle suocere. L’ultima categoria è l’aborto selettivo: in molti Paesi come la Cina, l’India, il Pakistan, il Bangladesh la nascita di una bambina è considerata come un segno di sfortuna, in quanto l’arrivo di un maschio significa che questo sarà forza lavoro per la famiglia, ma soprattutto potrà mandare avanti il cognome e la stirpe della stessa. Dunque, spesso assistiamo alla pratica dell’aborto o addirittura dell’infanticidio delle bambine. 

Quali sono le caratteristiche del femminicida? 

Dare una risposta netta a questa domanda è quasi impossibile dato che vi sono diverse variabili che possono rendere un uomo un possibile femminicida e queste variano sotto il profilo spaziale, temporale, ma anche culturale e psicologico. Vi sono stati psicologi che hanno tentato di delineare le caratteristiche del femminicida le cui caratteristiche spaziano dall’essere: controllatore (teme che la propria autorità e autorevolezza siano messi in discussione e deve controllare i familiari per evitare che ciò accada); difensore (non accetta l’autonomia della partner e si lega solo a donne che può sottomettere); incorporatore (non accetta di stare senza la partner e qualora ella si allontani vi è una esplosione di odio e violenza).

Inoltre, l’uomo abusante può: essere narcisista (necessita di continua ammirazione, sfrutta la partner ed è indifferente ai suoi bisogni); soffrire di “disturbo antisociale di personalità” (è un soggetto aggressivo e impulsivo, spesso violento che non prova rimorso per le proprie azioni); soffrire di “disturbo borderline di personalità (presenta cambiamenti di umore repentini, impulsività e irrequietezza, idealizza la propria partner, ma può svalutarla completamente l’attimo seguente, con importanti scatti d’ira); essere un perverso narcisista (vive di menzogne e bugie volte alla rappresentazione di un mondo perfetto che, nella realtà, non esiste); essere una personalità paranoica (è un soggetto convinto della inferiorità della donna e della sua necessaria sottomissione all’uomo. La donna non può lavorare, avere hobby, stare con gli amici, perché per queste personalità tali caratteristiche appartengono ai comportamenti degli uomini). 

Gli orfani vittime di femminicidio 

Agli orfani vittime di femminicidio spetta il compito più arduo: rielaborare il lutto e cioè la perdita della madre, ma anche accettare che il padre risulti essere l’omicida e che passerà gran parte del futuro prossimo in carcere. Come ci si sente vivendo in una condizione dove la madre è defunta e il padre in carcere? Questi bambini provano un dolore ineffabile, che spesso non riescono a liberare in alcun modo. Nell’infanzia si pensa che i propri genitori non solo stiano insieme per sempre ma anche che costruiscano giorno dopo giorno una famiglia robusta, solida, basata sull’amore e sull’aiuto reciproco. Quando questo non accade già si crea un turbamento interiore nel bambino, la cui tenera età viene stroncata nel momento in cui scopre di aver perso la madre in un modo atroce. 

Il percorso che gli orfani dovranno intraprendere è lungo e tortuoso. Un appoggio e un valido sostegno passa anche dalla figura del professionista nel settore dell’assistenza agli orfani vittime di femminicidio. Ciò potrà aiutare loro nella fase di rielaborazione del lutto e della forzata recisione del legame naturale e biologico con la mamma materna, attraverso un percorso che cerchi di ridurre il trauma. Dunque, è chiaro che tale figura debba essere dotata di una grande carica empatica e della capacità di aiutare l’altro, di assisterlo soprattutto quando è difficile aprire un dialogo con lui. 

Martina Marradi 

Master Unifi sul caffè 

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Il caffè

Già pronunciando il suo nome si può sentire tutto il suo inebriante odore. Il caffè è una bevanda che coinvolge a pieno i nostri cinque sensi, ma anche il nostro spirito: riscalda la nostra gola, accende e risveglia la nostra mente,  avvolge il palato con la sua carica decisa e schietta e stimola il nostro olfatto con il suo aroma inconfondibile

Eppure di caffè non ce n’è solo uno, e i più esperti sanno distinguere con grande fermezza anche le varietà meno conosciute. Si contano addirittura 60 specie di piante di caffè in tutto il mondo e più di 100 tipi di caffè diversi, sebbene solo una piccola parte sia commerciabile.  Le tipologie di caffè più conosciute al mondo sono: Caffè Arabica, Caffè Robusta, Caffè Liberia, Caffè Excelsa. 

Vi sto raccontando tutto questo perchè l’Università degli Studi di Firenze ha appena istituito il Master di primo livello UniVerso caffè, proposto dall’Ateneo per l’anno accademico 2021-2022. Il Master nasce dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali e si articola in nove mesi, a partire dal 13 gennaio 2022. I posti disponibili sono limitati e per accedere è fondamentale partecipare ad un bando pubblico. La domanda di partecipazione deve essere presentate entro il 15 novembre.

Ma torniamo al nostro viaggio verso la scoperta del caffè…

Il significato della parola caffè 

Il termine caffè deriva dall’arabo e significa «bevanda stimolante». Come risulta essere noto, il caffè contiene caffeina, una sostanza altamente eccitante che stimola il sistema nervoso. Anche se viene definita come una sostanza stupefacente, che crea dipendenza, essa è considerata legale in tutti i Paesi del mondo. Questo non significa che sia possibile consumare quantità elevate di caffè: le autorità sanitarie consigliano di essere prudenti e di non consumare più di tre tazzine al giorno. Per quanto il caffè abbia un leggero effetto digestivo, ci aiuti a combattere la stanchezza e il sonno, migliori l’umore e aumenti le prestazioni atletiche, può avere importanti effetti collaterali in caso di un uso eccessivo, quali tachicardia, insonnia, irritabilità e gastrite. Inoltre, al contrario di quanto si pensi, il caffè espresso della moka contiene maggiori quantità di caffeina rispetto a quello della macchinetta. 

Alcuni studiosi non sono concordi sul significato del termine “caffè” e sostengono che esso derivi dal nome della regione in cui questa pianta era maggiormente diffusa originariamente, ovvero il Caffa, nell’Etiopia sud-occidentale. La pianta del caffè, infatti, cresce nei Paesi dal clima caldo e umido, tra il tropico del Cancro e quello del Capricorno, con temperature comprese tra i 18 e i 22 gradi Celsius. 

La storia del caffè 

Tre sono le leggende più conosciute attorno al caffè. La prima riguarda un pastore etiope che portava a pascolare il suo gregge di capre. Queste iniziarono a mangiare le bacche del caffè e durante la notte, invece di dormire, iniziarono a muoversi energicamente fino alla mattina. Il pastore dopo varie ricerche si rese conto che la causa dell’evento fosse derivante proprio da quella strana pianta: decise di prenderne i chicchi, abbrustorirli sul fuoco, macinarli e farne un infusione. La seconda leggenda ha come protagonista Maometto il quale, dopo essersi sentito male, ebbe una visione nella notte: l’Arcangelo Gabriele gli mostrò una bevanda scura creata da Allà, che gli avrebbe permesso di stare meglio. L’ultima leggenda narra di un incendio in Etiopia che bruciò una gran quantità di piante selvatiche di caffè, il cui odore avvolgente arrivò a decine di chilometri di distanza.

Gli antenati etiopi del gruppo etnico degli Oromo furono probabilmente i primi ad aver riconosciuto l’effetto stimolante del caffè che cresceva spontaneamente nei loro territori, ma non ci sono prove al momento che dimostrino con assoluta certezza che la pianta di caffè sia nata nel continente africano. In Europa ci vorranno secoli prima che il caffè arrivi nelle case e venga considerato come una bevanda da bere quotidianamente. 

Al giorno d’oggi in Italia il 97% della popolazione consuma caffè ogni giorno e il 50% della popolazione mondiale fa lo stesso. Contrariamente, però, a quanto si pensi, il Bel Paese non si trova al primo posto nel consumo di caffè, perché in testa alla classifica c’è la Finlandia con un consumo di addirittura 12 chili di caffè all’anno! Non fatevi ingannare, in Finlandia il caffè non costa 1€ a tazzina, anzi il suo costo si aggira attorno ai 5€. Ma ai finlandesi non importa: amano l’effetto energizzante e stimolante di questa bevanda e non possono farne a meno. È forse proprio per questo motivo che la Finlandia è considerata uno dei Paesi più felici del mondo? 

Lasciando da parte il nostro umorismo è giusto addentrarci su alcuni aspetti più tecnici che vedono ancora una volta il caffè come protagonista. 

Caffè, economia mondiale ed etica

Il commercio del caffè è dominato da poche grandi multinazionali, venti per l’esattezza, che controllano più di tre quarti del mercato del caffè. Un esempio sono Neumann Kaffee (Germania), Volcafè (Svizzera), Cargill (Stati Uniti).

Il caffè rappresenta per migliaia di famiglie in tutto il mondo l’unica fonte di reddito. In molti Paesi africani, quali Uganda, Ruanda ed Etiopia, così come in altrettanti Paesi dell’America Latina, come Brasile e Colombia, questo prodotto costituisce la principale merce di esportazione. Un po’ come nel caso del petrolio anche il caffè subisce oscillazioni di prezzo, ma nella stragrande maggioranza dei casi chi guadagna da tali speculazioni non sono certo i lavoratori, ma le multinazionali. 

Non è sbagliato dire che l’attività di raccolta dei chicchi di caffè sia una delle più spietate al mondo. Solo in Africa Occidentale oltre due milioni di bambini sono coinvolti nella raccolta del caffè e purtroppo il confinamento mondiale, dovuto alla pandemia, ha ulteriormente peggiorato la situazione, perché la chiusura delle scuole e l’impossibilità di uscire dalla propria abitazione ha spinto molte famiglie a mandare i loro figli a lavoro. Più che lavoro, però, dovremmo definirla una forma di schiavitù, dato che tali bambini sono costretti a lavorare dodici ore al giorno, ogni giorno della settimana. I bambini, anche di sei anni, ricevono una paga di uno o due euro l’ora: in tutto questo anche noi consumatori di caffè ne siamo in parte la causa. 

Lo sfruttamento della manodopera minorile è una fetta di una pratica ben più grande che coinvolge persino gli animali. In Indonesia si produce una varietà di caffè che può essere considerata come la più cara al mondo. Al costo di 500 euro al chilo il Kopi Luwak è al primo podio per quanto riguarda il lusso. Eppure prima di diventare il caffè più costoso del pianeta era la bevanda dei braccianti: quest’ultimi non potendo bere il caffè, in quanto bevanda da esportazione per il Paese, iniziarono a utilizzare i chicchi defecati da un piccolo mammifero chiamato Civetta delle palme. L’aumento della domanda di questo caffè particolare che, dopo essere stato digerito dall’animale acquisisce un retrogusto di cioccolato, ha comportato lo sfruttamento intensivo di questo animaletto. Il mammifero è tutt’oggi tenuto in condizioni atroci non solo perché le gabbie dove risiede sono minuscole, ma anche perché viene letteralmente ingozzato di chicchi di caffè e privato della sua vera alimentazione, ovvero rettili, insetti e piccoli mammiferi. I livelli di stress delle Civette delle Palme sono talmente elevati da provocare loro comportamenti autolesionisti e la morte dopo pochi anni. 

Dopo aver letto tutto questo potremmo sicuramente affermare «il caffè sì che è amaro». Dietro ad una semplice tazzina c’è sfruttamento e disinteresse completo, per la manodopera, ma anche per la fauna. Ma si può fare qualcosa. Da anni molte aziende hanno deciso di produrre e esportare solo caffè biologico e equosolidale, acquistabile anche nei supermercati. Questo significa che la nostra pausa caffè avrà un doppio valore: liberare la nostra mente e aiutare i lavoratori che operano in questo settore. I tentativi di creare una rete di produzione e esportazione solidale hanno dato i loro frutti e anche noi possiamo irrobustire la filiera della produzione solidale di caffè con i nostri acquisti: così facendo non solo si rispetterà chi lavora, ma anche l’ambiente. 

 

Siete curiosi di altre informazioni sul Master Unifi sul caffè? Come affermato dal coordinatore del Master Francesco Garbati Pegna, in questo corso «si studieranno […] i processi e i contesti di coltivazione e di prima lavorazione del caffè, le sue caratteristiche chimico-fisiche e nutrizionali, le dinamiche del mercato dei prodotti intermedi e finali. Saranno approfonditi anche i processi di selezione, tostatura, macinatura ed estrazione, in Italia e nel mondo». 

Se sei un amante del caffè e senza questa bevanda nemmeno ti alzi dal letto la mattina;, se vuoi combattere contro lo sfruttamento dei lavoratori nelle piantagioni di caffè o semplicemente desideri inserirti nella filiera di produzione di questa bevanda solo per business, ciò che ti posso consigliare è di dare un’occhiata a questo bando. 

Che aspetti? Affrettati a iscriverti! 

Martina Marradi 

La nuova pedagogia nella scuola multiculturale

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Negli ultimi decenni si è posta la questione su come sia cambiato il contesto scolastico, soprattutto dal punto di vista della multiculturalità, e di quanto sia, perciò, importante rivedere il ruolo degli insegnanti ed il loro metodo di insegnamento. Il dibattito pedagogico che è nato sopra la questione richiede innanzi tutto un’evoluzione del corpo docente, che non solo si è dovuto adattare a nuovi metodi didattici legati all’avanzare della tecnologia, ma si è dovuto confrontare con studenti provenienti da varie parti del mondo, abituati a diversi contesti, e a classi multilingue.

In questo senso, l’Università di Firenze ha effettuato un grandioso progetto: il Master in Organizzazione e gestione delle istituzioni scolastiche nei contesti multiculturali (A.A. 2016-2017), promosso dal MIUR.

Il master si prefigurava di contribuire al miglioramento della formazione docente in relazione alla multiculturalità e dell’integrazione degli studenti stranieri all’interno delle scuole italiane. Hanno partecipato al progetto sia docenti universitari che docenti di scuole secondarie, essi hanno preso parte ad un percorso seminariale iniziale, dove sono stati promossi vari dibattiti per favorire uno scambio di idee ed opinioni tra gli insegnanti che si stavano approcciando al proprio mestiere con un nuovo punto di vista e nuove prospettive. Alla fine del corso è stato creato un project work che potesse esprimere e riassumere quelle che sono state le conclusioni tratte dal loro lavoro e dal progetto: l’obiettivo principale è stato quello di creare la possibilità di una collaborazione efficace all’interno delle classi, favorendo una visuale del mondo a 360°, che comprenda tutte le culture che ne fanno parte, abituandosi al rispetto e alla comprensione reciproca, così da sostenere una convivenza non solo pacifica ma anche efficace e produttiva. Questo obiettivo non poteva essere immediato in quanto, per i docenti, raggiungerlo significava rimettere in discussione tutto ciò che del proprio lavoro avessero appreso, sia a livello umano che didattico, stimolando all’interno del gruppo una auto-riflessione per stimolare un cambiamento professionale ma anche interiore.

Grazie a questo progetto si è portata alla luce l’importanza dell’integrazione di tutti gli studenti, sia italiani che non, all’interno delle istituzioni scolastiche, così da poter formare cittadini consapevoli attraverso una corretta ed approfondita educazione alla cittadinanza storico-sociale, quest’ultima fondamentale per promuovere una convivenza serena tra cittadini del mondo, abbattendo stereotipi e incertezze, abituando tutti al pensiero critico e creando così una cultura collettiva e pluralista basata sul dialogo.

Nessuno di noi appartiene ad una sola realtà, siamo tutti il risultato di una molteplicità di appartenenze, perché la cultura umana, fin dagli arbori, non è statica ma in continuo movimento, trasformazione ed evoluzione, pertanto è fondamentale abbattere le barriere che ci dividono e promuovere un’integrazione che parta dalle basi del nostro metodo di apprendimento: la scuola. La scuola è la prima “palestra di vita” che affrontiamo, se eseguita in maniera corretta è fondamentale per creare una società consapevole e che riesca ad affrontare il mondo con una visione critico-razionale. Ma come fare per far sì che la scuola sia efficace? La risposta che si è provata a dare nell’articolo, parlando del Master dell’Università di Firenze, è semplice: formare i formatori. Affinché essi siano capaci di trasmettere qualcosa di concreto ai loro studenti, è fondamentale che sappiano rimettersi in gioco, adattarsi al mutare delle generazioni, della società, delle nuove realtà, ed avere un approccio pedagogico ed umano aperto a tutto e a tutti.

Martina Guidi

MASTER IN PSICOLOGIA SCOLASTICA E PSICOLOPATOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO

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Avete mai sentito parlare di termini come dislessia, disortografia, discalculia? Sapete cosa sono i Disturbi dell’attenzione o dell’apprendimento? Il Master dell’Università di Firenze risponde a tutte queste domande, attraverso un corso intensivo di nove mesi. Prima, però, facciamo un po’ di chiarezza e cerchiamo di entrare nel cuore dei temi che vengono affrontati in tale Master. 

Disturbi dell’apprendimento 

Tutti noi, almeno una volta nella vita, soprattutto in ambito scolastico, abbiamo sentito parlare di disturbi specifici dell’apprendimento (DSA); pochi, però, sanno veramente cosa siano. I DSA sono disabilità  in cui si presentano significative difficoltà nella lettura, scrittura e calcolo. I DSA si caratterizzano per essere estremamente specifici: il disturbo può riguardare solo il calcolo, ma non la scrittura, oppure può essere circoscritto solo alla lettura. Un altro elemento caratteristico di questi disturbi è quello di essere osservabili quando il bambino inizia a leggere e scrivere, dunque non possono essere scoperti prima. Mentre i bambini che non presentano questo disturbo, trasformano la lettura delle parole e la scrittura in un automatismo, che dopo qualche tempo risulta non occupare così tanto energie e sforzi, i bambini con DSA fanno fatica a sviluppare capacità che per tutti risultano essere semplici e assodate. 

Non dobbiamo pensare che tali disturbi siano frutto di traumi infantili o problemi psicologici: essi hanno un’origine neurobiologica. Il bambino ha la stessa capacità cognitiva e la stessa intelligenza dei coetanei, ma disperde più energie del normale nell’apprendere come calcolare somme o sottrazioni, piuttosto che non fare errori ortografici durante la scrittura di un testo. Spesso, le difficoltà scolastiche, il senso di inadeguatezza e l’insufficiente attenzione degli insegnanti nell’analizzare il problema possono spingere l’individuo a lasciare la scuola.  In Italia, la diagnosi di questi disturbi è spesso insufficiente e le stime dicono che almeno due studenti con dislessia su tre non ricevono una diagnosi durante il percorso scolastico: è fondamentale, dunque, diagnosticare in tempo il disturbo e modellare il percorso di studio secondo le necessità dell’alunno. Questo non solo permetterà di coprire con successo tutti gli argomenti e materie che vengono trattate durante l’intero percorso scolastico, ma permetterà di aumentare l’autostima personale, nonché il senso di gratificazione dell’individuo. 

La legge italiana 170/2010 riconosce quattro disturbi dell’apprendimento, dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia, e sancisce la necessità di diagnosi rapide per creare un percorso educativo personalizzato sulle richieste dell’alunno: nelle scuole come nelle università i soggetti con DSA devono essere in grado di raggiungere il massimo risultato e lo Stato italiano deve impegnarsi per portare a termine questo importante obiettivo. 

La dislessia 

La dislessia si contraddistingue per la difficoltà nella lettura da parte del soggetto che presenta tale disturbo. La lettura di un testo è lenta, faticosa e poco scorrevole; nell’analisi della parola si osservano omissioni o aggiunte di lettere e le parole vengono spesso scambiate con altre. La conseguenza immediata di tutto ciò è che l’analisi e la decodifica del brano è molto difficile e ricca di ostacoli: ciò rallenta l’apprendimento dell’alunno rispetto ai coetanei. 

La disortografia 

La disortografia è un disturbo che  coinvolge la correttezza ortografica della scrittura attraverso errori fonologici e non fonologici: nel primo caso non c’è una corrispondenza tra il suono e il segno, come la difficoltà nel distinguere la t dalla d, mentre nel secondo caso ci riferiamo a separazioni o unioni di parole in maniera incorretta, per esempio scrivere la voro invece che lavoro. 

La discalculia 

La discalculia corrisponde alla difficoltà di apprendere la matematica come saper scrivere e riconoscere i numeri, calcolare operazioni, memorizzare formule, saper comparare numeri maggiori da quelli minori. Queste difficoltà niente hanno a che vedere con il fatto che l’alunno “non si applica” e sicuramente aumentare il numero e la frequenza degli esercizi è una strategia che non funziona, anzi, può affaticare ancora di più lo studente, nonché frustrarlo

La disgrafia

La disgrafia è un disturbo specifico della scrittura che coinvolge la grafia e, compromettendo la qualità grafica del testo, può rendere ciò che è stato scritto completamente illeggibile. I segni alfabetici e numerici non vengono scritti correttamente a causa della difficile coordinazione tra il cervello e la mano. Possiamo osservare assenza di spazi fra le lettere, parole di grandezza differenti, troppa pressione sul foglio o la totale assenza del rispetto di margini e righe tra una frase e l’altra. 

Disturbi dell’attenzione (ADHD) 

Il disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività si manifesta durante l’infanzia attraverso tre sintomi principali: disattenzione, iperattività e impulsività. Gli studenti con questo disturbo faticano a rimanere concentrati su uno stesso compito e si fanno distrarre facilmente dai compagni o da rumori occasionali: raramente, infatti, riescono a completare una consegna. I bambini con ADHD giocano in modo rumoroso, parlano ad alta voce, interrompono persone che conversano o che stanno svolgendo delle attività in modo brusco e sono molto disorganizzati. 

Gli studi dimostrano che il 3-7% dei bambini in età scolare e il 4-5% degli adolescenti e dei giovani adulti, rientra nei criteri del disturbo da deficit di attenzione e che tra essi i maschi sono il doppio della femmine. Non esiste un’unica causa, ma diverse potenziali fattori che portano al suo sviluppo: peso ridotto alla nascita, traumi cranici, deficit di ferro, assunzione di minime quantità di piombo od esposizione prenatale ad alcol, tabacco e cocaina. 

Come accennato la sintomatologia di questo disturbo si contraddistingue per:

Disattenzione

La disattenzione si contraddistingue per la mancanza di coinvolgimento e concentrazione nel portare a termine uno specifico compito, nonché un’alta capacità nel distrarsi per rumori o elementi che si trovano nell’ambiente intorno al soggetto in questione. Un bambino con tale problematica perde spesso quaderni, penne, libri e fatica a comprendere le consegne che gli vengono chieste. Per esempio, una semplice domanda come: “Potresti portarmi il libro di scienza che si trova nella mia camera, nel secondo cassetto vicino all’armadio” creerebbe un senso di frustrazione nel bambino, che alla fine abbandonerebbe la ricerca, perché troppo complessa. 

Impulsività 

L’impulsività si riferisce alla tendenza ad agire in modo precipitoso ed affrettato con possibili conseguenze negative per il bambino, come attraversare una strada trafficata senza guardare, apparire maleducati nell’interrompere senza motivo una persona o compiendo atti pericolosi senza pensare alle conseguenze. 

Iperattività 

I bambini con iperattività sembrano avere un’energia incontenibile e basta solo osservarli per rimanere senza fiato. Sono bambini con “l’argento vivo addosso”, che non sopportano tempi di silenzio o di stasi: sembrano irrequieti, proprio perché non riescono a stare seduti, ma si dondolano sulla sedia, corrono per la stanza e vogliono fare più giochi contemporaneamente. 

Questi sono alcuni degli elementi che il Master dall’Università di Firenze offre a chiunque abbia conseguito una laurea magistrale o specialistica e che sia interessato a questo settore. Il mondo dell’apprendimento è estremamente vasto: vi sono scoperte e studi continui e la ricerca non si ferma mai, perché l’istruzione, non solo deve essere garantita a tutti, ma deve essere modellata in base alle esigenze di chi ne ha più bisogno. 

Martina Marradi 

UNIFI: MASTER IN ANALISI STRATEGICA

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C’è chi sogna di fare il militare semplice per servire la propria Patria e c’è chi ha obiettivi ancora più ambiziosi, come quello di assumere il ruolo di ufficiale dell’Aeronautica Militare e avere una leadership chiave, non solo per l’intero reparto che andrà a comandare, ma anche per la Nazione intera. L’Università degli Studi di Firenze offre  la possibilità di frequentare il Master in Leadership e Analisi strategicaprogettato per soddisfare le specifiche esigenze degli ufficiali dell’Aeronautica Militare“, come si denota dal sito web di Unifi.

Comando e Controllo

Il settore militare risulta essere complicato e complesso, spesso oscuro, ma per molti interessante e affascinante. In tutti gli ambiti militari nazionali esiste il “Comando e Controllo“, indicato, spesso, con l’abbreviazione C2. Esso è l’esercizio dell’autorità e della direzione da parte di un comandante nei confronti delle forze a lui  assegnate per il compimento di una missione. Attualmente il Comando e Controllo risulta essere indissolubilmente collegato con l’industria della sicurezza informatica, nel contesto della cosiddetta guerra cibernetica. Negli ultimi anni, sempre più spesso, il sistema informatico di alcune Nazioni è stato compromesso da forze esterne: a livello strategico lo spazio cibernetico è considerato il quinto luogo di guerra dopo terra, mare, cielo e spazio. Gli Stati Uniti detengono i primato su tale ambiente, dato il possesso delle più importanti aziende tecnologiche a livello mondiale. Questi nuovi tipi di conflitti si contraddistinguono per l’intercettazione e la distruzione di informazioni o sistemi di comunicazione nemici, sotto un profilo informatico ed elettronico.

Quando parliamo di Comando e Controllo non possiamo non soffermarci su alcuni suoi elementi caratteristici: inganno militare, guerra psicologica e tecniche di azione.

Inganno militare

L’inganno militare consiste in tutte quelle attività, sia sotto un profilo strategico che tattico, volte a ingannare il nemico durante la guerra.  Tale pratica è sempre esistita “fin dalla notte dei tempi“, giacché l’antico Impero cinese era conosciuto per un famoso trattato, dove si mettevano in risalto tutte le tecniche per ingannare il nemico in battaglia. Ci sono numerosi esempi di inganno militare: dalla falsa ritirata, alla cortina di fumo, alla disinformazione. Sicuramente l’esempio di inganno militare più conosciuto nella storia è il famoso cavallo di Troia, che permiseagli Achei di sconfiggere i Troiani. Concentrandoci su esempi relativamente più recenti, possiamo osservare la pratica di inganno istituita dalle truppe degli Alleati prima dello sbarco in Normandia (1944). L’operazione Quicksilver, così fu nominata, si contraddistinse per creare falsi segnali volti ad ingannare i servizi segreti tedeschi, circa il luogo dello sbarco. I nazisti, convinti che l’invasione sarebbe avvenuta presso il passo di Calais, vi si recarono: il vero sbarco, però, avvenne diverse settimane dopo in Normandia.

Guerra psicologica

La guerra psicologica consiste nell’utilizzo di una serie di pratiche volte ad influenzare le opinioni, gli atteggiamenti e i comportamenti di gruppi nemici con l’obiettivo di raggiungere i propri scopi nazionali. Le operazioni psicologiche possono portare ad obiettivi di pace, di guerra o di crisi e assumono la forma di guerra non convenzionale, dove l’obiettivo è distruggere la mente del nemico anziché l’apparato militare. Durante la Prima Guerra del Golfo (1990) furono stampati più di 29 milioni di volantini dalla coalizione di 35 Paesi che vide come leader gli Stati Uniti. Tali volantini venivano lanciati su una determinata zona del conflitto per invitare i militari iracheni a disertare. Ma in che modo? I messaggi scritti riguardavano i temi della fratellanza araba, dell’isolamento dell’Iraq rispetto al resto del mondo islamico e del potere superiore dei nemici: ciò comportò che nell’arco di poche settimane più di 300. 000 soldati del regime iracheno chiedessero la resa.

Tecniche di azione

Circa le modalità di azione e raggiungimento dello  scopo vi sono due possibili tecniche: la lotta diretta alla testa del nemico (antihead) o la lotta diretta al collo del nemico (antineck). La lotta antihead ha l’obiettivo di colpire il cuore di comando nemico, per poi neutralizzare l’intero apparato militare. Tale scopo lo si raggiunge sia attraverso le classiche armi tradizionali, sia con le armi di soft-kill che richiedono una certa precisione nella localizzazione dell’ obiettivo. La lotta antineck si contraddistingue per quell’insieme di attività volte ad interrompere le comunicazioni del comando nemico e delle forze nemiche stesse, attraverso le interferenze dei satelliti o delle onde radio.

Quindi, come si può desumere, il settore militare è un vasto e intersecato mondo di strategie, psicologia, comunicazione e innovazioni. Il Master proposto dall’Università di Firenze è aperto anche a persone non designate dall’Aeronautica militare, che, al termine del loro percorso formativo, potranno rappresentare gli Enti pubblici o le Organizzazioni internazionali che operano nel settore della Difesa e della Sicurezza. L’obiettivo di questo corso è quello di “rendere possibile l’Impiego dei frequentati a livello dirigenziale, come forma di supporto anche internazionale” con la capacità di effettuare analisi di situazioni anche critiche a livello mondiale.

Martina Marradi