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Morire per una sciocca sfida su TikTok: sembra uno scherzo, ma purtroppo ogni giorno su questa piattaforma nascono nuove “challenges” che attirano e stimolano innumerevoli utenti a tentare di superarle. In occasione di una lezione di Media Education, tenutasi presso la Scuola di Scienze Politiche, ho deciso di analizzare quanto un social network come TikTok sia pericoloso.
TikTok è una piattaforma molto diversa rispetto alle più conosciute Facebook e Instagram: è un social network che permette la creazione di video molto brevi che possono spaziare su qualsiasi tema, dal ballo, al make-up, da una imitazione a una ricetta di cucina. La caratteristica peculiare che ha reso questa piattaforma estremamente popolare, soprattutto tra i giovanissimi, è la presenza di “tiktoker” non famosi, ovvero semplici creatori di contenuti non professionisti, che sono adolescenti tanto quanto gli utenti che li guardano.
Tale elemento, di non poca rilevanza, attira i giovani che, intenti a seguire tendenze e sfide, entrano in un tunnel oscuro dove non si rendono conto di quanto quel “mettersi alla prova”, per apparire celebri e popolari, rischi seriamente di mettere in pericolo la loro vita. Nel momento in cui una sfida diventa virale su TikTok, si crea una vera e propria competitività mondiale e ogni utente freme dal desiderio di diventare famoso mostrando agli altri quanto sia stato semplice per lui superare quella rischiosa challenge.
Ciò di cui stiamo parlando sono essenzialmente delle sfide che vari tiktoker lanciano sulla piattaforma e, se è vero che alcune di esse sono innocue, come balli di gruppo o imitazioni di spezzoni di film celebri, altre sono estremamente rischiose e spesso mortali come la “planking challenge”, la “skull breaker challenge” e la “blackout challenge” (queste sono solo alcune delle più pericolose sfide che chiunque può visionare su TikTok con un semplice click).
La prima sfida consiste in due duplici possibili azioni: sdraiarsi per strada senza essere visti dai conducenti delle auto, attendendo che queste arrivino vicino, per poi alzarsi e schivarle all’ultimo secondo o lanciarsi direttamente sopra il cofano di un’auto in corsa cercando di cadere seduti.
La seconda sfida, il cui nome parla già da solo, consiste nel far inciampare una persona facendogli lo “sgambetto” in modo che cada a terra battendo la testa. L’ultima sfida, invece, consiste nel legarsi una cintura intorno al collo fino a svenire.
Questo ultimo evento ci è tristemente noto in quanto una bambina di Palermo, di solo dieci anni, è deceduta proprio a causa di questa sfida: nel praticare la prova si è asfissiata non riuscendo più a togliersi la cintura dal collo. È giunta in ospedale cerebralmente morta: l’ossigeno non ha raggiunto il cervello per diversi minuti danneggiandolo in modo irreversibile.
Sotto un profilo psicologico è tipico degli adolescenti mettere alla prova se stessi, sfidare gli altri e spingere sempre più in alto l’asticella dei propri limiti. Questo comportamento viene attuato sia per dimostrare di essere “già degli adulti”, sia per emanciparsi dall’autorità genitoriale. Le challenges sul web sono il prodotto della volontà di esorcizzare le proprie paure, ma sono portate all’estremo. L’utente sa che la sua sfida verrà registrata e fatta circolare sui social. Questo aumenta lo stato di eccitazione e di euforia, perché nel caso in cui la prova venisse superata non solo ci si sentirà invincibili, ma si diventerà, anche solo per pochi giorni, popolari. La pratica di condurre una sfida pericolosa acquisisce un gusto diverso se si è consapevoli che milioni di persone in tutto il mondo potranno vedere la nostra challenge, commentare, mettere like e condividere.
Poche volte, però, un adolescente o addirittura un bambino è in grado di avere tutto sotto controllo e per quanto si possano valutare accuratamente tutte le possibili conseguenze, non sempre i risultati di queste challenges sono privi di rischi.
L’analisi che è stata appena esposta, circa pericoli della piattaforma TikTok, non propone come soluzione ultima l’abolizione dei social network: ciò risulterebbe essere quasi impossibile, dato che la nostra società odierna è cambiata, così come sono cambiati i modi di conoscere e relazionarsi con il mondo circostante. Le relazioni umane sono sempre più basate sui likes e commenti virtuali, ovvero da interazioni prive del vero contatto umano, come se lo schermo fosse un prolungamento del nostro corpo. Questo non significa che dobbiamo rimanere impassibili a ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi. Un primo atto utile a ridurre la presenza di bambini molto piccoli sulle piattaforme è imporre un limite minimo di età che sia vero, cioè effettivo. I vincoli imposti dai social attuali sono estremamente semplici da scavalcare: è facile falsificare i propri dati o farsi iscrivere a nome di un fratello o di una cugina più grande e la piattaforma nemmeno se ne accorge, o forse fa finta di non vedere. Sicuramente un elemento da non fare è vietare ai figli l’uso dei social, perché proprio la negazione stimola la risposta contraria. I social non devono diventare un tabù.
La soluzione è educare i bambini a un corretto uso dei social network, facendoli entrare nelle loro attività quotidiane con consapevolezza. Lo spirito critico, per essere costruito, necessita di una sinergia tra la famiglia e la scuola: solo così il bambino sarà in grado di discernere i contenuti utili da quelli che non lo sono.
Dunque, non solo è necessario utilizzare questa piattaforma con estrema cautela, ma è possibile conferire uno scopo pedagogico e didattico ai video che vengono pubblicati. Questo può sembrare un paradosso: potremmo chiederci, cioè, come sia possibile che un social network che vive di video poco educativi possa diventare esso stesso istruttivo e formativo. Eppure, tutto è vero e sarebbe necessario dare maggiore spazio a tutti quei tiktoker che hanno aperto il loro profilo proprio come questo obiettivo e ve ne sono molti: da scienziati che raccontano curiosità sul mondo della natura, a insegnanti madrelingua che insegnano a pronunciare parole e coniugare verbi; da esploratori che immortalano le meravigliose città e gli incredibili Paesi che hanno visitato, a chef che insegnano a cucinare piatti sfiziosi e semplici.
Il materiale a disposizione per cambiare questo social c’è…Forse non c’è l’interesse nel farlo. Non è un caso che i profili di cui ho appena parlato sono estremamente poco conosciuti, hanno poco seguito e anche pochi guadagni rispetto all’immenso lavoro di creazione e montaggio video. E proprio perché non hanno un grande numero di follower sono penalizzati dall’algoritmo di TikTok che, invece, preferisce premiare chi riesce a raggiungere in poco tempo milioni di views, a prescindere dal tipo di contenuto mostrato. Se l’algoritmo non funziona come vorremmo, questo non significa che non potrebbe cambiare. Se ogni utente iniziasse a interagire, con commenti, likes e condivisioni ai video educativi, questi inizierebbero a essere mostrati di più: è necessario, però, un impegno da parte di tutti. Se l’algoritmo di TikTok non vuole cambiare, proviamo ad aggirarlo noi.
Martina Marradi