Intervista a Firenze Race Team

Martina Marradi ha intervistato il leader di Firenze Race Team (FRT), Nathan Giovannini, il quale ha descritto il progetto di FRT: costruire un’automobile da corsa per partecipare a competizioni internazionali fra Università. Ciò, non soltanto risulta essere un’esperienza da ricordare per tutta la vita, ma permette il confronto tra studenti di tutto il mondo. Inoltre può essere utile per innovare il settore delle automobili e per essere osservato da imprenditori o datori di lavoro che potranno offrire un posto all’interno delle loro aziende.

Che cosa è Firenze Race Team?

Il Firenze Race Team (FRT) è la squadra ufficiale Formula SAE dell’Università degli Studi di Firenze fondato nel 2000. Il FRT è stato il primo team italiano a partecipare ad un evento Formula SAE (l’edizione 2002 della Formula Student a Leicester, UK) ed anche il primo a partecipare ad un evento F-SAE sul continente Americano (Formula SAE West, Fontana, California Speedway nel 2007). Trasferta americana a parte, il team partecipa regolarmente agli eventi F-SAE europei ed ha inoltre al suo attivo presenze ad importanti fiere ed eventi del settore motorsport e non solo, quali il MotorShow, il Motorsport Expotech, il MotorValleyFest.

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INTERVISTA AD UN RAPPRESENTANTE DI AZIONE UNIVERSITARIA

Elezioni universitarie del 11 e 12 maggio

In vista delle prossime elezioni studentesche, Martina Marradi intervista Francesco Cambi, rappresentante del gruppo politico Azione Universitaria (AU). Francesco ci racconta le proposte di Azione Universitaria per le prossime elezioni e i principi a cui si ispira questo gruppo nella sua attività all’interno della politica universitaria fiorentina.

Cosa è Azione Universitaria?

Azione Universitaria è un’associazione studentesca universitaria presente in più atenei di tutta Italia.

L’associazione nasce ufficialmente nell’aprile del 1996. La sua collocazione sul piano politico ed ideologico rientra a pieno titolo nella corrente della destra italiana. Più specificamente la destra identitaria e conservatrice.

Nonostante la sua vicinanza a Fratelli d’Italia l’associazione dichiara di essere autonoma sul piano decisionale dal partito presieduto da Giorgia Meloni. Lo si può evidenziare nella sezione “chi siamo del sito aufirenze.wordpress.com: “Diffusa sull’intero territorio nazionale, Azione Universitaria ha sempre mantenuto comunque una organizzazione autonoma rispetto al partito di riferimento, ha propri rappresentanti nazionali, regionali e locali eletti negli organi accademici di tutti gli atenei d’Italia.”

INTERVISTA A UN RAPPRESENTANTE DI CSX FIRENZE

Elezioni del 11 e 12 maggio

In vista delle prossime elezioni studentesche, Martina Marradi intervista Matteo Atticciati, rappresentante del gruppo politico CSX Firenze. Matteo ci racconta le proposte di CSX per le prossime elezioni e i principi a cui si ispira questo gruppo nella sua attività all’interno della politica universitaria fiorentina.

Cosa è CSX Firenze?

Csx, è un’associazione politica che, come indica il nome, si rispecchia nei principi della sinistra moderata, più specificamente del centrosinistra italiano. Questi principi vanno dalla socialdemocrazia al progressismo, dal liberalismo sociale al riformismo, dall’europeismo all’atlantismo.

L’adesione di questo gruppo politico alla corrente di sinistra moderata è esplicitata nella loro “Carta dei Principi:

I valori dell’Associazione sono quelli della sinistra progressista e democratica, del femminismo, dell’inclusività e della solidarietà. Scopo dell’Associazione è impegnarsi nel vigilare sull’operato degli organi di governo dell’Ateneo ed a difendere ed ampliare i diritti degli studenti, implementando la trasparenza dei processi decisionali e la partecipazione del corpo studentesco.

INTERVISTA AD UN RAPPRESENTANTE DI OBIETTIVO STUDENTI

Elezioni universitarie del 11 e 12 maggio

In vista delle prossime elezioni studentesche, Martina Marradi intervista Gabriele Zanon, rappresentante del gruppo politico Obiettivo Studenti (OS). Gabriele ci racconta le proposte di Obiettivo Studenti per le prossime elezioni e i principi a cui si ispira questo gruppo nella sua attività all’interno della politica universitaria fiorentina.

Cosa è Obiettivo Studenti?

Obiettivo Studenti è un’associazione politica universitaria fondata nel 1995. Fu fondata con il nome di Lista Aperta proprio perché tra gli scopi prefissati vi era “la creazione di un’associazione politica libera dalle logiche politiche nazionali e aperta” secondo quanto dichiarato da uno dei militanti di questa associazione. Lista Aperta nacque come erede delle diverse liste studentesche di ispirazione cattolica degli anni ‘70 e ‘80, tra cui Comunione e Liberazione. Oggi Obiettivo Studenti è un’associazione apartitica, che collabora però attivamente  con la federazione di ispirazione cattolica CLDS (Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio).

OS definisce sé stessa come una “compagnia di amici implicati nell’Università” in ragione dell’attività che dichiara di svolgere, ovvero di “iniziative culturali e di socializzazione” dallo sfondo apolitico, secondo quanto è stato riportato sul profilo Instagram (@osfirenze) di questa associazione.

INTERVISTA AD UN RAPPRESENTANTE DI CENTRODESTRA UNIVERSITARIO

Elezioni universitarie del 11 e 12 maggio

In vista delle prossime elezioni studentesche, Martina Marradi intervista Vanessa Morabito, rappresentante del gruppo politico Centrodestra Universitario. Vanessa ci racconta le proposte di Centrodestra Universitario per le prossime elezioni e i principi a cui si ispira questo gruppo nella sua attività all’interno della politica universitaria fiorentina.

Cosa è Centrodestra Universitario– Studenti Per le Libertà?

Centrodestra Universitario è un movimento di ispirazione moderata e liberale. Come il nome lo indica, questa associazione si rifà alle correnti politiche di centrodestra, più specificamente alla tradizione del centrodestra italiano, il quale si ispira a principi quali il conservatorismo liberale, il cristianesimo democratico, il liberalismo conservatore e l’europeismo. Nata nel 1999 come movimento studentesco universitario del partito Forza Italia, con il nome Studenti per le Libertà (SPL), tutt’oggi mantiene stretti rapporti con il partito presieduto da Silvio Berlusconi

Centrodestra Universitario rappresenta insieme ad Azione Universitaria, nell’ambito della politica universitaria fiorentina, un movimento dichiaratamente di destra e in particolare, come menzionato poc’anzi, di destra liberale e moderata.

INTERVISTA AD UN RAPPRESENTANTE DI UDU

Elezioni universitarie del 11 e 12 maggio

In vista delle prossime elezioni studentesche, Martina Marradi intervista Andrea Pratovecchi, rappresentante del gruppo politico Unione degli Universitari (UDU). Andrea ci racconta le proposte di UDU per le prossime elezioni e i principi a cui si ispira questo gruppo nella sua attività all’interno della politica universitaria fiorentina.

Cosa è UDU?

L’Unione degli Universitari, abbreviato UDU, è una confederazione di 26 associazioni sindacali studentesche presente in più atenei italiani. Di ispirazione socialista, legalitarista e laica, UDU fu fondata nel dicembre del 1994, in seguito a un congresso tenuto nella città di Siena, su ispirazione del modello associativo di stampo sindacale.

In ragione della sua natura sindacale, UDU ha stipulato un patto di lavoro con la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), della quale dichiara di essere autonoma sul piano politico e decisionale. Il modello promosso da questo gruppo politico si basa sul “riconoscimento della centralità dello studente e dei suoi bisogni, del suo essere soggetto sociale, e quindi autonomo dalla famiglia” secondo quanto riportato nella sezione “chi siamo” del sito unionedegliuniversitari.it

INTERVISTA A PIETRO PELLICIARI: LAUREATO AL PROGEAS

La musica e lo spettacolo… un mondo in cambiamento

Martina Marradi intervista Pietro Pelliciari, laureato al PROGEAS presso l’Università degli Studi di Firenze che ci spiegherà i cambiamenti del mondo dello spettacolo e della musica a partore dallo sviluppo repentino dei social media.

Come ritieni che il mondo della musica e dello spettacolo, in generale, sia mutata in questi ultimi anni? I social networks possono essere la causa di questo cambiamento?

Sì. La musica è un medium e, essendo un messaggio, passa attraverso l’industria musicale. L’impatto più grande è avvenuto con le piattaforme di streaming online, perché hanno cambiato il modo di ascoltare la musica, in parte risolvendo un problema, che era quello che si era sollevato nei primi anni del 2000, fino al 2010, quando dilagava la pirateria online: ciò è stato risolto con le piattaforme di streaming, dove per accedere è necessario un abbonamento. È cambiato il modo di ascoltare la musica, perché viene concepita in maniera diversa: il concetto di album musicale è praticamente quasi scomparso… è rimasta soltanto una raccolta di brani singoli. Se andiamo ad osservare la storia della musica, questo significa tornare alle origini: all’inizio, le prime pubblicazioni dell’industria musicale, erano i 45 giri, dove c’era solo il lato A e il lato B (ed erano singoli), ma quando sono nati i 33 giri è stata creata una raccolta dei brani più famosi (ndr ogni artista aveva il proprio). Adesso sta succedendo la stessa cosa, perché escono solo singoli che, anche se formano un album, sono privi di un pensiero alla base. […] Il creare un’opera più grande di una canzone viene un po’ acadere perché si va scegliere i singoli brani, in quello che deve definito come cherry-picking, dove si ascolta ciò che si vuole. Ciò non accadeva nemmeno quando c’erano i cd perché dovevamo comprarlo. Circa i social network c’è una grande facilità di produzione musicale e di visibilità, ma il mercato è saturo: se un tempo YouTube era un mezzo per emergere adesso diventa più difficile, anche se una possibilità te la offre.

Si parla spesso di programmi televisivi trash, che divertono, ma non insegnano: tu cosa ne pensi? Vanno aboliti o sono una fonte di svago?

Credo che l’abolizione non si sia mai la soluzione, perché causa una reazione spesso contraria. Sicuramente le persone hanno bisogno di “mangiare e divertirsi“… non sempre si va a cercare la cultura, ma penso che i produttori e gli ideatori abbiano il dovere morale di dare una base culturale ai programmi. La soluzione al trash è la cultura, cioè una sottobosco culturale di crea: per fare un esempio i film degli Avengers hanno una base culturale, perché raccontano le grandi storie (ndr l’eroe che combatte il cattivo)… cosa che non è presente in High School Musical, ma penso che per Uomini e Donne una soluzione non ci sia (ndr ride).

Molti sostengono che i social e YouTube stia rubando spazio alla televisione. Alcuni parlano di possibile estinzione dei programmi televisivi. Sei d’accordo?

Parlare di estinzione della televisione è impensabile, perché significherebbe cambiare completamente il pubblico di riferimento. Quando la mia generazione sarà anziana si potrà, forse, parlare di ciò, ma anche la televisione si sarà evoluta. Quindi, non si può parlare di estinzione della televisione anche perché il modo in cui le nuove generazioni la percepiscono è differente: i millennials sono stati abituati a scegliere cosa vedere alla televisione… è un on demande ( chi accende la televisione sceglie cosa guardare), mentre la generazione precedente guardava cosa le veniva dato (la generazione da palinsesto). Ma adesso la televisione si sta evolvendo verso l’on demande e proprio questa evoluzione rende la televisione molto forte: il livello di produzione e montaggio è sempre più alto rispetto ad uno youtuber. […].

Alcuni ritengono che la musica italiana non abbia carattere e sia una mera replica di quella americana. Ritieni invece che ci siano degli elementi di assoluta copia oppure di diversità e originalità?

Ma la musica italiana di adesso o di 50 anni fa?

La musica di adesso, nel 2021.

Credo di no. Ovviamente la musica che influenza è la musica anglofona, ma le influenze sono tante adesso. Ogni parte del mondo ha creato un proprio modello di musica, di ogni stile dal pop all’hip hop. La vera invasione americana avvenne cinquanta anni fa con il Blues che cambiò per sempre la storia della musica italiana. Prima la musica italiana era fondata sul Bel canto che derivava dall’Opera, successivamente il Blues si è fuso con il Bel canto in una stratificazione generale ed è per questo che è difficile affermare che la musica italiana non abbia carattere. Sotto un profilo musicale siamo ininfluenti, perché la lingua anglofona, proprio grazie alla diffusione mondiale del Blues, ha preso la supremazia… forse l’unica influenza della musica italiana era negli anni Sessanta quando Elvis si faceva tradurre le musiche di Modugno. Attualmente i più grandi arstisi italiani hanno ampliato il loro bacino d’utenza cantando in lingua spagnola, come Tiziano Ferro o Laura Pausini.

Per finire parliamo di te

Com’è nata la tua passione per lo spettacolo?

Sono sempre stato attirato da tutto ciò che riguarda il mondo dello spettacolo. Il primo ricordo che ho di una sala cinematografica è quando nel 2003 non andai a vedere “Toy story”, ma Il terzo film de “Il signore degli anelli” e avevo 6 anni! Al liceo ascoltavo di tutto, ma un giorno rimasi affascinato da Morgan a X Factor. Iniziai ad ascoltare i consigli musicali che dava e poi anche la sua musica, fino ad entrare in un mondo più “intellettuale” della musica cantautorale […]. Quasi dieci anni dopo, durante la scorsa pandemia, […] ho contattato personalmente Morgan e abbiamo collaborato…É stata una grande soddisfazione per me.

Quando RTV38 ti ha chiesto di collaborare con sé come ti sei sentito?

Ho fatto la collaborazione presso RTV38 durante il tirocinio prima della laurea triennale e successivamente mi hanno contattato… e da più di un anno, ormai collaborono con loro. È una grande soddisfazione per me. Sto in un ambiente che ogni giorno produce contenuti ed idee […] e ciò mi piace tanto, sia contattare gli ospiti che allestire una trasmissione. Mi sono trovato a parlare al telefono con il mio idolo calcistico dell’infanzia o il Presidente della Regione e questo grazie a RTV38 che ha una storia solida alle spalle.

Ritieni che l’Università di Firenze ti abbia aiutato nell’apprendimento dei segreti del mestiere e nel raggiungimento dei tuoi futuri obiettivi?

In parte sì. Tutto quello che fai va a costruire il tuo substrato, mattoncino dopo mattoncino. Senza l’Università non sarei stato contattato: non è solo quello che studi, ma come lo studi… con passione e curiosità. La curiosità ti porta a farti affascinare da quello che vedi e da quello che ti spiegano […] anche se quel professore non è il più bravo del mondo. Voler essere istruiti dai più bravi del settore, con aria snob, è un limite: anche chi dà meno, qualcosa comunque ti dà. Bisogna sempre pensare che ciò che si studia ci sarà utile in qualche modo.

Firenze, 13 aprile 2021

INTERVISTA A MATTEO INNOCENTI

La Portineria è una delle sei gallerie fiorentine che hanno preso parte al progetto ‘Primo Vere’, avviato il 21 marzo scorso e visitabile fino al 20 aprile. Matteo Innocenti, ideatore e direttore di La Portineria, ci racconta che valore ha per lui Primo Vere coinvolgendoci nella sua idea di curatela, nell’intervista ad opera di Beatrice Carrara:

Del progetto Primo Vere cosa l’ha entusiasmata di più?

“Mi ha colpito soprattutto questa intenzione di mettere in relazione degli spazi d’arte che operano nella città di Firenze, il che non è scontato, perché normalmente non ci sono molte occasioni per creare questo tipo di dialogo. Non mi riferisco solo al periodo recente, insomma anche storicamente non credo si contino tante occasioni di dialogo tra gli spazi, per tutta una serie di questioni. Quindi sicuramente questa idea di unirsi e promuovere un evento che poi a sua volta promuove individualmente gli spazi è sicuramente positiva. E l’altro aspetto di valore è sicuramente il periodo in cui questo è accaduto, in un momento di grande difficoltà che sta durando, ora da tanto, da oltre un anno, e sappiamo bene che la pandemia oltre al disastro sanitario ha toccato vari comparti, quello culturale è stato uno dei più colpiti. Quindi questa idea di fare un evento d’arte nei vari spazi, secondo me, ha anche una portata simbolica forte, è un segnale positivo. Certamente non un segnale di incoscienza, ‘Primo Vere’ non significa: “facciamo finta che la situazione non sia quello che è”, ma è un segnale che si deve guardare al futuro. Perché certamente si deve uscire da questa situazione in un modo o nell’altro, altrimenti i problemi diventerebbero d’altro tipo, irrisolvibili, oltre che da un punto di vista economico, anche sociale e psicologico. Quindi direi questi due aspetti: dialogo tra spazi d’arte e portata simbolica, associata al periodo in cui questo evento è accaduto”

Presumo che ogni artista lavorando con voi vi lasci qualcosa, in questo caso cosa vi ha lasciato Marco Mazzoni ?

“Assolutamente giusto che ogni artista ci lascia qualcosa, si impara sempre qualcosa nel rapporto con gli artisti. Nello specifico di Marco Mazzoni direi: la capacità di leggere, sentire, interpretare lo spazio. Questo credo che gli derivi da un’esperienza lunga in ambito performativo, perché Marco Mazzoni è un componente dei Kinkaleri che è un gruppo di sperimentazione che sta all’interno dell’ambito delle arti visive, ma con tangenza con il teatro con la performance art, le installazione ecc.. Quindi questa componente d’interpretazione spaziale certamente fa parte di una ricerca che va avanti dai primi anni ‘90, periodo in cui si sono costituiti come gruppo. Marco già nel primo sopralluogo ha avuto questa intuizione di interpretare lo spazio, e devo dire che questo è particolarmente importante per un luogo come La Portineria. Perché non è un luogo canonico, ha la sua identità che noi riteniamo essere un punto di forza, tant’è che ha mantenuto nel nome anche quella che era la sua funzione, appunto di portineria. Però richiede sempre che lo spazio venga letto, altrimenti portare semplicemente delle opere e posizionarle, avrebbe poco significato in uno spazio come La Portineria. Marco è riuscito a farlo, a mio avviso con leggerezza, incisività e anche eleganza. Quindi con pochi tocchi questi due cani latranti che si fronteggiano in un qualche modo, sono come due estremi di una tensione o di uno stato potenziale. Che poi viene punteggiato da questo tappeto materico per terra e che in qualche modo può essere visto come segno di accoglienza o anche come segno di invasività, questo poi dipende dall’esperienza particolare di ogni visitatore.”

Quando si espone il lavoro di un’artista cosa è essenziale tenere a mente?

“Ogni curatore ti risponderebbe in modo differente, perché gli approcci variano. Per me è fondamentale l’aspetto di dialogo con l’artista, è qualcosa che connota tutte le mostre che facciamo a La Portineria. Quindi il fatto che ogni progetto venga sviluppato attraverso un dialogo costante, credo che in generale sia anche il ruolo della curatela. Credo meno alla funzione della curatela come elaborazione concettuale e anche formale di discorsi in cui le opere d’arte diventano gli strumenti della dimostrazione di una teoria. Quindi in una mostra a tema, in cui si porta un concetto forte, il curatore individua degli artisti e delle opere nello specifico e le fa rientrare all’interno del percorso espositivo, che risponde al tema di origine. Secondo me è più interessante un altro approccio, che è quello di non predeterminare un senso, ma di arrivare a costruirlo nel rapporto di dialogo con l’artista. Questo è correlato a un altro fatto che, secondo me, la figura del curatore è una figura di mediazione. Io direi che la sua finalità, più che dare delle definizioni sull’opera,  sia quella di mettere l’artista nelle condizioni migliori per esprimersi e inoltre far sì che il pubblico incontri l’opera dell’artista. Ma da quel momento in poi il rapporto tra pubblico e opera è assolutamente autonomo.”

In questo periodo di pandemia le gallerie d’arte, come tutte le istituzioni culturali, hanno dovuto ricrearsi pur di vivere con la propria passione; La Portineria su cosa ha puntato?

“La Portineria nasce, ed è, come spazio no profit e resta uno spazio no profit. Quindi diciamo che non ha tra le sue finalità principali quella commerciale, questo lo dico senza alcun tipo di giudizio, perché anche la galleria d’arte è un tipo di attività culturale e commerciale legittimo, anzi, svolge una funzione importante, fondamentale. Quindi direi: per noi l’obiettivo primario resta quello che era all’inizio, vale a dire la ricerca, la sperimentazione del rapporto con gli artisti. E l’altro elemento è quello di dialogo, l’ho citato prima, ma c’è anche un’altra forma di dialogo che ci interessa che è quella con in il pubblico. Noi siamo all’interno di un palazzo abitato, quindi in maniera naturale questo aspetto è da considerare. E poi considerando anche il fatto che siamo nel quartiere di Campo di Marte, che è un quartiere molto bello, residenziale, tuttavia, non c’è un’intensa attività culturale, (tralasciando il periodo pandemico…,)  non ci sono molti spazi. E allora l’altro dei nostri fini è costituire all’interno di Palazzo Poli una sorta di piccolo polo per l’arte contemporanea. Infatti, in un altro spazio affiancato a La Portineria, già da vari mesi ha iniziato una propria attività Satellite, un progetto gestito da Francesco Zola, un gallerista toscano ma che vive in Spagna a Granada da alcuni anni, dove ha per l’appunto una galleria che si chiama Suburbia. Inoltre, Zola, ha il progetto Satellite, “satellitare” che per l’appunto si sposta in varie città e che adesso è a Firenze,  e starà qui per un po’. Poi in un altro spazio che abbiamo sempre riacquistato al piano terra, abbiamo avviato il progetto Studio. Che è uno studio d’artista a tutti gli effetti, un luogo di lavoro che viene affidato a degli artisti per periodi variabili tramite un open call pubblica, si partecipa mandando portfolio e pochi altri materiali. La direzione in cui stiamo andando, innanzitutto è di ottenere uno spazio, un ruolo all’interno della città come spazio artistico, perché comunque siamo nati un anno fa e non è da molto tempo. E dall’altra parte far sì che a Palazzo Poli accada qualcosa, quindi che ci siano più occasioni. Per adesso ne abbiamo tre, magari in futuro si riuscirà anche ad avviare ulteriori progettualità”

Da un punto di vista professionale, che cosa consiglia a coloro che ambiscono a lavorare in una galleria d’arte come curatore?

“Rispetto a quando io ho iniziato la situazione è un po’ cambiata, nel senso che fino a qualche anno fa, per esempio, non esistevano dei corsi universitari né scuole che indirizzavano a curatela artistica. Quindi era davvero una sperimentazione, legata ad un proprio studio, ad una propria sensibilità. Oggi invece, sono stati avviati dei percorsi “professionalizzanti” che possono dare degli strumenti; però dico professionalizzanti tra virgolette, perché, secondo me, sia l’artista, ma anche il curatore, non esattamente sono richiudibili nella definizione di professione, per come la si intende normalmente all’interno della società. Perché questo termine ‘professione’ si porta dietro anche un’idea di produzione, funzione, consumo che secondo me si attagliano male nell’ambito artistico. Però certamente lo studio, essere preparati è importantissimo. Io direi che la prima cosa è quella di continuare sempre a studiare, ed essere molto curiosi, quindi andare a vedere mostre, parlare con gli artisti, parlare con altri curatori e così via. Perché tutto questo crea una preparazione teorica che è necessaria, e che è indispensabile  continuare a portare avanti nel tempo. Da un punto di vista pratico direi che le strade principali potrebbero essere: inizialmente quella di provare a organizzare delle mostre, assieme anche ad associazioni culturali, spazi che possono venir messi a disposizione gratuitamente dalle amministrazioni comunali, a volte anche da privati, a volte si tratta di spazi recuperati. Perché è come una sorta di esercizio, però con la differenza che a quel punto non si è più soltanto nella teoria, ma è un confronto diretto con le persone. Che per altro questo, facendo riferimento alla mia esperienza, mi ha aiutato molto per prendere confidenza con gli artisti, sui metodi di installare le opere ecc. Quindi assolutamente spirito di iniziativa, inizialmente, ed esercitarsi in questo modo. Poi se si intende che diventi il proprio percorso, provare ad avviare delle collaborazioni proponendosi a gallerie, provando con altre istituzioni o musei ecc. Però certamente lo spirito di iniziativa e intraprendenza è fondamentale. Avere un atteggiamento passivo sicuramente non paga, meglio provare, anche fare degli errori, però lanciarsi e in questo modo fare esperienza. Anche perché ci sono tantissimi giovani artisti che stanno concludendo l’accademia o l’hanno conclusa da poco che hanno voglia di esporre. Quindi anche quando si inizia a fare la curatela si può creare questo  forte dialogo, perché fare una mostra va nell’interesse di entrambe le figure sia del curatore, che dell’artista”

Firenze 9 aprile 2021

CASTELLO DI SAMMEZZANO: INTERVISTA A MARIO BEVILACQUA

Il Castello di Sammezzano

In occasione del riconoscimento al Castello di Sammezzano, sul podio del censimento del FAILuoghi del Cuore 2020-2021’ è necessario fare luce sugli svariati motivi che ne impediscono l’accesso a studiosi e turisti da molti anni. E’ questo l’argomento su cui verte l’intervista tenuta a Mario Bevilacqua, professore ordinario del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Ecco l’intervista ad opera di Beatrice Carrara.

Intervista a Mario Bevilacqua

1 – Dal suo punto di vista, cosa ha portato le persone a votare per il Castello di Sammezzano, così da fargli aggiudicare il secondo posto del bando ‘luoghi del cuore 2020-2021’ del FAI?

Il castello purtroppo è inaccessibile, soprattutto all’interno. L’eccezionalità del luogo è certamente anche dovuta alla sua collocazione, all’interno di un paesaggio che è quello toscano, all’interno di un parco che è straordinario, importantissimo da un punto di vista botanico e storico. Però un elemento di eccezionalità è soprattutto rivestito dagli spazi interni, e gli spazi interni, purtroppo, non sono più accessibili dal pubblico da molti anni. La fama che il castello si è conquistata è grazie alle immagini che si possono trovare in rete, forse hanno giocato un ruolo importante affascinando molti. Il castello affascina anche in fotografia, ancora di più dal vero. Questa fama lo ha determinato, fama che si è conquistata perché è la testimonianza di un gusto per l’esotico che affascina ancora oggi, e affascinava nell’ottocento. Il modo in cui questo esotico, le decorazioni moresche, che sono declinate ed esposte nel castello, sono un elemento del tutto affascinante. E ha portato a far sì che in molti prediligano questo luogo, anche perché è un luogo unico in Italia. E’ uno degli esempi di eclettismo ottocentesco orientato verso questo gusto esotico moresco tra i più importanti che ci siano in Europa. Dunque una serie di elementi giustificano questa scelta da parte di molti.

2 – La situazione di questa struttura negli anni è andata aggravandosi, e tutt’oggi vi sono ostacoli nell’attuare interventi di restauro. Non capisco come una struttura del genere come quella del castello di Sammezzano, ‘ricercata’ non solo nel panorama Toscano ma anche internazionale, ancora oggi non sia accessibile ai visitatori.

“Purtroppo lì la situazione è molto complicata. E’ complicata innanzitutto dal fatto che adesso la proprietà si trova in una condizione ‘giuridica’ particolare, perché c’è un fallimento e quindi tutto è in mano a un curatore fallimentare e in questi casi naturalmente tutto è sospeso. Non c’è la possibilità di un utilizzo del bene. C’è una situazione giuridica oggettiva, che impone delle limitazioni, e impone una situazione di non accessibilità. Ci sono poi le condizioni materiali di questo edificio che non corrispondono a tutti i criteri di sicurezza, di accessibilità che un bene aperto al pubblico dovrebbe avere. Innanzitutto, questo è dovuto al fatto che questo edificio è stato chiuso comunque, prima delle vicende ultime, per molti anni. Quindi senza una manutenzione o una manutenzione ridotta. E poi è dovuto al fatto che da un edificio ottocentesco non si può pretendere che esso rispetti le normative attuali in materia di sicurezza e accessibilità. E’ poi c’è il terzo elemento che, nonostante tutto il fascino che questo edificio può emanare, questo complesso è difficilmente inusabile in un modo che possa produrre una capacità di sostenersi economicamente in modo autonomo. Perché il problema è: quale può essere la funzione di questo edificio? E’ stato il problema degli ultimi decenni, perché questo edificio è stato trasformato in albergo, questo albergo poi ha avuto delle vicende varie. A un certo punto sembrava avrebbe avuto un radioso futuro: agli inizi degli anni 80’, o fine anni 70’, è stata cominciata la costruzione di un edificio a poca distanza dal castello stesso, che doveva accogliere una sorta di ‘dependance’ di questo albergo. La costruzione di quell’edificio è stata poi bloccata, per svariati motivi, dunque adesso nel parco si trova questa struttura in cemento armato non finita. Alla fine anche queste prospettive alla ricettività alberghiera sono cadute, e quindi a questo punto è un po’ difficile immaginare una funzione che possa essere di nuovo compatibile. Anche perché questo albergo è collegato alla strada provinciale che corre ai piedi della collina ma in modo non immediato. E poi soprattutto gli spazi interni di questo albergo, che a meno di non volerli stravolgere, sono difficilmente utilizzabili per qualunque funzione che non sia meramente museale. E’ chiaro che una funzione museale (ovvero farlo divenire museo di se stesso) non permetterebbe l’esistenza fisica di questo edificio perché non produrrebbe una redditività sufficiente a sostenere la manutenzione. Tuttora questo edificio è inagibile, è vuoto, è lasciato in uno stato di semiabbandono.

3 – In un possibile progetto di riqualifica di quest’area, secondo lei, cosa non dovrebbe mancare per farlo conoscere non solo ai cittadini toscani ma da un punto di vista internazionale ?

Una ‘rinascita’ deve essere legata a un progetto che attivi delle energie di tipo economico, imprenditoriale che possano sostenere la gestione di questo spazio. Sarebbe interessante immaginare un progetto dove vi sia una partecipazione mista, tra pubblico e privato. Non credo che un’acquisizione da parte dello Stato o della regione, ovvero di un soggetto meramente pubblico, potrebbe essere un’azione risolutiva. Perché non possiamo immaginare che il pubblico sia una sorta di grande mamma che protegge tutti a qualsiasi costo, lo sappiamo bene che il pubblico ha dei limiti; limiti legati anche a fattori economici. Secondo me potrebbe essere legato a delle iniziative parallele a delle attività imprenditoriali compatibili. Per esempio lì c’è una situazione interessante: ai piedi della collina c’è il centro commerciale The Mall, a Leccio, che è un outlet del lusso. Premettendo che sono un assertore del bene pubblico, per me il ‘Pubblico’ è il bene più importante. Quindi la collettività deve esprimere una visione pubblica delle cose, possibilmente. Però ci sono delle situazioni in cui il privato, se opera intelligentemente con la sfera pubblica, può dare un contributo determinante. Quella del Castello di Sammezzano è una zona dove l’imprenditoria legata alla moda è importante, c’è una realtà economica che esprime delle idee non solo dal punto di vista imprenditoriale, ma anche da un punto di vista culturale. E non a caso, secondo me, recentemente è stato girato un video da Garrone per Dior proprio all’interno del castello di Sammezzano. Dunque, aprire il castello al pubblico in connessione a qualche funzione legata a questo mondo della moda, alle imprese e al lavoro che vi stanno dietro, questa è una possibile via. Quegli ambienti così straordinari si prestano in maniera perfetta a costituire degli spazi per il ‘sogno’, in fondo gli oggetti di lusso sono oggetti che fanno sognare. Quindi quello potrebbe essere una possibilità, naturalmente questo comporterebbe un progetto che dovrebbe riguardare anche in maniera molto seria il collegamento tra il castello e l’area ai piedi della collina, perché ci sono diverse centinaia di metri di strada sterrata che bisogna fare per arrivare al castello, e non è una cosa da poco. Cosa che in ogni caso, aprendo il castello al pubblico, deve essere affrontata. Un progetto che consideri anche la realtà e la vocazione economica di quell’area potrebbe essere un progetto interessante, e in quel caso potrebbe essere un progetto che avrebbe immediatamente una ripercussione a livello internazionale. Anche perché sappiamo che, fino a quando non è scoppiata la pandemia, veniva frequentato da un grandissimo numero di compratori stranieri. Quindi quello potrebbe essere, secondo me, un modo per rilanciare il castello, ma naturalmente non potrebbe essere l’unico.

4 – Cosa consiglia, dal punto di vista professionale, ai futuri laureandi nel dipartimento DIDA?

Consiglio di non immaginare la professione dell’architetto in modo ‘tradizionale’. Ovvero, se si immagina di entrare in una facoltà di architettura e uscirne come un Architetto di una volta, che fonda uno studio e in seguito diventa una star internazionale in architettura, questo succede a un caso su un milione, gli altri novecentonovantanovemila rimarrebbero frustrati. Allora credo che l’idea che si ha della professione dell’architetto sia ancora un po’ attardata, su tutte le posizioni che riflettono un passato che oramai non esiste più. Altre professioni hanno saputo rinnovarsi in maniera molto più sostanziale, penso ad esempio alla professione dell’ingegnere, dove non si pensa più tanto all’ingegnere libero professionista che nel suo studio ha la sua clientela ecc.., ma si pensa a un professionista capace di inserirsi in un tessuto economico vivace dove si richiedono certe cose anche molto distanti da quelle che un ingegnere di cinquant’anni fa sapeva e poteva fare. Questa mentalità deve essere assunta anche dagli architetti e soprattutto dagli studenti, ovvero devono già sintonizzarsi su questa lunghezza d’onda. Quello che importa non è immaginare di uscire da architettura e cominciare a progettare edifici, magari si possono fare cosa completamente differenti. Perché oggi c’è poco bisogno di progettare ex novo, c’è molto bisogno invece di riqualificare e di gestire. Quindi, bisognerebbe saper orientarsi verso la gestione di un patrimonio, di spazi, di volumi, di paesaggi, di un patrimonio territoriale immenso che deve essere riqualificato, pensato, sistemato piuttosto che immaginare: “esco dalla facoltà di architettura e faccio il progetto che mi dà notorietà internazionale”. Credo che se si ha questa idea, poi si rimarrà delusi.”

Firenze, 17 Marzo 2021

ATTIVITÀ GIORNALISTICA: INTERVISTA A DARIO BALDI, SPEAKER RADIOFONICO E GIORNALISTA

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Uno sguardo al mondo giornalistico

In occasione della “Settimana Social“, Dario Baldi, giornalista presso Fiorentina News e Giustizia caffé, nonché speaker radiofonico presso LadyRadio Firenze, ci racconta la sua esperienza all’interno del mondo giornalistico, il suo passaggio dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Firenze, e la sua opinione su temi come: passaggio dei giornali dal cartaceo al digitale, utilizzo adeguato dei social media dai giornalisti, giornalismo sportivo.

Martina Marradi intervista Dario Baldi.

Intervista a Dario Baldi

Com’è iniziata la tua passione per il giornalismo?

Il primo episodio che mi viene in mente è proprio l’Università perché io venivo dalle scuole superiori dove avevo passione, scrivevo, ero stato rappresentante d’istituto, mi piaceva la politica. A quei tempi feci Scienze Politiche non per diventare espressamente un giornalista. Era nelle tante cose. Un giorno del primo anno passai per l’aula studio e ho letto un annuncio di Calcio più. Li chiamai, mi richiamarono e feci questo colloquio e da lì ho incominciato dai primi due articoli a farne 12 a settimana. Il primo anno ho seguito partite su partite, mi sono divertito tanto e da lì ho incominciato a prendere una serie di contatti. Dal calcio ho incominciato a scrivere su altro, ho messo la mia firma su altri pezzi e poi altre collaborazioni anche a titolo semplicemente conoscitivo. E quindi la mia passione è nata da lì, dal fare questo mestiere, che poi si è trasformato in conoscere campioni del mondo fino al più umile sportivo di paese del quale ho raccontato la storia, fino a dove sono adesso a Lady Radio, dove ogni martedì, giovedì o a volte il sabato, do il buongiorno alla città”.

Secondo te la Facoltà di Scienze Politiche ti ha veramente aiutato a raggiungere il tuo scopo?

“Se ti raccontassi la storia della mia carriera universitaria ti dovrei dire: lo sai che non ho fatto comunicazione, ho fatto relazioni internazionali, ho toccato e assaporato con mano le varie sfaccettature che poi mi hanno portato a scrivere di tematiche diverse dallo sport. In questo mestiere si ha un working progress continuo e lo si apprende giorno per giorno toccando con mano i vari aspetti della vita. E quindi ti dico sì, l’Università mi ha aiutato perché credo che serva una formazione progressiva e la facoltà di Scienze Politiche ha formato una nuova classe di persone che possono dare tanto. Ma se da una parte c’è lo studio dall’altra parte c’è l’applicazione. Non ti dico di studiare e basta“.

Com’è iniziata la tua esperienza in radio?

“In radio è iniziata in modo casuale. Vorrei citare un episodio: al primo anno di Università iniziai a collaborare ma era uno “scherzo”, chiamiamolo così. Facevo questa trasmissione che si chiamava “Scusate l’interruzione” su una web radio locale (radio Geronimo). Mi portarono dentro questa grande avventura. E poi ho collaborato con un’altra radio che è Radio Italia 5, dove commentavo le partite del Signa Calcio. A Lady Radio invece rappresento la città, e quindi la città parla attraverso la nostra voce, quindi non c’è soltanto il politico, c’è soprattutto la persona che ha un problema”.

Hai scritto la tua tesi di laurea su Alfredo Martini. Quanto è importante per te lo sport e i particolare il ciclismo?

“Nell’anno della tesi io entrai a conoscenza della famiglia Martini. Martini è il più grande CT della storia della nazionale di ciclismo italiana ma è soprattutto uomo, commerciante, politico . Nella tesi non racconto la vita di Alfredo e basta. Nella tesi racconto tutto ciò che lui scriveva nelle agende: raccontava storia, cultura, era uno che si appuntava le canzoni che gli erano piaciute piuttosto che una poesia di Garcia Lorca, si appuntava tutto in maniera splendida. [..] per me lo sport è lo sport di base: quello delle società di calcio, è quello delle associazioni che fanno correre i ragazzi disabili, è quello delle società di ciclismo in cui il presidente si toglie dalla tasca 1000 euro per comprare le bicilette, più che i vari Cristiano Ronaldo. Il nostro paese ha bisogno di creare una cultura sportiva. Io voglio che il nostro paese abbia una cultura e un rispetto per quei giovani che vanno tutti i giorni nelle palestre perché sì, lo sport è un’industria , sono tanti i soldi che girano però la nostra formazione passa esclusivamente dai nostri giovani. Per me lo sport è uno dei valori e principi fondamentali su cui il nostro Stato si regge.

Come giornalista qual è il tuo sogno professionale?

“Cosa vorrei diventare nono lo so perché per me anche fare radio in questa maniera è un sogno. Non so dirti dove vorrei arrivare. Sicuramente non mi pongo limiti, però mi sento di dire che step by step bisogna crescere e credere in quello che si fa.”

Quali qualità un giornalista deve avere per fare bene il suo lavoro e quali invece no?

Un giornalista deve raccontare quello che vede da un punto di vista di cronaca e se poi ha un peso importante poi può fare un’editoriale. La seconda qualità è quella di non lasciarsi ingannare. Sai quante volte mi è capitato di farmi raccontare una notizia da qualche collega che poi era falsa. Quindi bisogna sicuramente verificare le fonti. Io faccio anche l’ufficio stampa quindi a volte la vivo dall’altra parte della barricata e ti dico: dobbiamo essere sempre di più vicini con gli uffici stampa. L’altra cosa che mi sento di dire è quella di essere il più liberi possibili. E’ il primo punto per diventare un grande giornalista. Poi bisogna stare sulla strada e raccontare con i tuoi occhi quello che vedi.

Un consiglio a tutti coloro che sognano di fare i giornalisti?

Credere sempre in voi stessi . Non pensare mai di essere inutili o di essere l’ultima ruota del carro. Noi giovani siamo dei piccoli pesci rossi in un mare di quali. Mi piace sempre dirlo. E’ un lavoro dove ci vuole tempo, in tutto questo tempo però devi formarti e credere sempre nei propri mezzi perché se te non credi in te stesso non lo farà nessun altro.”

Quanto è importante per un giornalista l’uso dei social e come il giornalismo è mutato a causa dei social media?

“Questa è una domanda molto bella. Partiamo da un presupposto: per i giornalisti i social sono importantissimi. I giornali sempre di più andranno sui social. Per un giornale nel 2021 è importante avere i social, per un sito internet è importante avere i social, per il giornalismo sportivo è importante avere i social.”

Credi che questo slittamento a cui stiamo assistendo dal cartaceo al digitale per il giornalismo è sempre positivo o può in fondo essere nocivo?

“Bisognerà abituarsi perché dietro a quei giornali, dietro a quella carta ci sono tipografi, ci sono persone che impaginano, ci sono direttori, ci sono editori, ci sono caporedattori, ci sono giornalisti, ci sono persone che hanno degli stipendi. Sicuramente con Il Corriere alle 4 di mattina, Repubblica alle 5, La Nazione alle 6 è più facile perché non vai in edicola, però ti manca lo sfogliare la carta. Io mi ritrovo a volte a fare la rassegna stampa con il tablet. Con il giornale sotto è tutta un’altra cosa: il giornale lo tocchi, assapori l’odore della carta stampata, l’inchiostro che è ancora fresco la mattina e ti rimane fra le mani. Ci mancherà questo e non sarà una transizione facile per il nostro paese.”

Firenze, 28 febbraio 2021