MINISTERO DELLA CULTURA E MINISTERO DEL TURISMO: NASCITE O RINASCITE?

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26 febbraio, Palazzo Chigi: il Consiglio dei Ministri si riunisce sotto la presidenza di Mario Draghi per far fronte alla necessità, percepita come urgente, di riordinare le competenze attribuite ad alcuni ministeri. Come riportato in Gazzetta Ufficiale, ci sono alcune questioni impellenti: istituire un ministero per la transizione ecologica, uno per il turismo (alla luce della volontà di rilancio di questo settore molto colpito dall’emergenza Covid-19) e “rafforzare le funzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri in materia di coordinamento e  promozione delle politiche del Governo relative all’innovazione tecnologica, alla trasformazione e alla transizione digitale”.

Perché è necessario non lasciare che questo cambiamento si depositi in un’ala recondita della nostra testa? Perché patrimonio culturale e turismo possono essere visti come due elementi distinti così come inscindibilmente connessi; perché è fondamentale conoscere, almeno sommariamente, la storia del ministero che ha l’onore e l’onere di gestire uno degli aspetti più caratterizzanti dell’Italia e ovviamente di Firenze: il patrimonio culturale.

Dario Franceschini: Il Ministro della cultura Dario Franceschini, nato a Ferrara il 19 ottobre 1958, è avvocato, scrittore e politico.
Fonte: https://www.beniculturali.it/ministro

La genealogia dei ministeri è spesso frutto della scissione o dell’integrazione fra competenze, doveri, responsabilità e funzioni: i dicasteri attorno cui hanno gravitato turismo, gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale etc rientrano in questo insieme.

Partiamo da vicino: il MiBACT (l’ex Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo) si è scisso in due dicasteri diversi, dando vita al Ministero del Turismo e al Ministero della Cultura guidati rispettivamente da Massimo Garavaglia e da Dario Franceschini. Dal 31 marzo le attività concernenti il turismo sono state poste sotto l’egida del nuovo ministero.

Garavaglia: il Ministro del Turismo Massimo Garavaglia, nato l’8 aprile 1968 a Cuggiono, è un politico in carica come Ministro del Turismo dal 13 febbraio 2021.
fonte:http://www.senato.it/

In realtà non si tratta di una nascita nel senso stretto del termine: questo dicastero era stato istituito già nel 1959 dal governo Segni II e poi aveva visto la soppressione nel 1993 con un referendum abrogativo. Le sue funzioni erano state poi trasferite a due dipartimenti interni della Presidenza del Consiglio, per poi essere inglobate dal MiBACT nel 2013. Oggi, dal 1 aprile 2021, abbiamo un Ministero del Turismo che  “cura la programmazione, il coordinamento e la promozione delle politiche turistiche nazionali, i rapporti con le regioni e i progetti di sviluppo del settore turistico, le relazioni con l’Unione europea e internazionali in materia di turismo, fatte salve le competenze del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, e cura altresì i rapporti con le associazioni di categoria e le imprese turistiche e con le associazioni dei consumatori.” (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/03/01/51/sg/pdf)

Lo stesso Ministero della Cultura (MiC) fu creato dalla disgregazione del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1974 durante il governo Moro IV, Giovanni Spadolini, nato a Firenze nel ‘25, Segretario del Partito Repubblicano Italiano,  istituì il Ministero per i Beni Culturali e l’Ambiente, che poco dopo sarebbe diventato Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Nel 1998 fu istituito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che abbracciava anche la promozione dello sport e dello spettacolo. Nel 2009 si ebbe un nuovo regolamento di riorganizzazione del Ministero e degli Uffici che erano in diretta collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali: l’obiettivo era quello di esaltare l’azione di tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale nazionale e al contempo restituire centralità alla salvaguardia del paesaggio nel contesto più generale delle belle arti.

ll logo del Ministero è ispirato al volto di Apollo,
nel celebre gruppo scultoreo di Apollo e Dafne del Bernini
conservato presso la Galleria Borghese.
Fonte: https://commons.wikimedia.org

Il binomio Beni Culturali – Turismo si crea nel 2013 sotto il governo Letta: con la conversione in legge il 24 giugno 2013 (con modificazioni) del decreto legge 26 aprile 2013  “Al Ministero per i beni e le attività culturali sono trasferite le funzioni esercitate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in materia di turismo”. Ecco quindi la nascita del “Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo”, guidato da Massimo Bray. La successiva svolta fondamentale arriva nel 2018, primo Governo Conte, che vede Bonisoli a capo del “Ministero per i Beni e le attività culturali”, anno in cui si verificò un “riordino delle attribuzioni dei Ministeri dei beni e delle attività’ culturali e del turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonche’ in materia di famiglia e disabilità”.

Riuniti l’anno successivo, Beni Culturali e Turismo saranno posti sotto la guida del Ministro Dario Franceschini, per poi vedersi nuovamente separati lo scorso 26 febbraio nei due sopracitati MiC e Ministero del Turismo.

Daria Passaponti

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DESIGN: COLLABORAZIONE E SOSTENIBILITÀ

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DESIGN: QUESTA PRIMAVERA COLLABORAZIONE E LA RICERCA PER LA SOSTENIBILITÀ

Giovedì 8 aprile 2021 è stata presentata attraverso una digital exhibition la mostra “Impresa per la sostenibilità 4.0”, che in tre ambienti racconta il ruolo della regione toscana nella partnership con le imprese locali e le istituzioni del territorio che si occupano di ricerca come il Distretto interni e design (DID) ed il PENTA, polo dell’eccellenza nautica toscana.

La mostra, presto visitabile online, ospita una raccolta di progetti degli studenti del Design Campus in collaborazione con l’industria.

Gli scenari di impresa 4.0 collaborano con il dipartimento di architettura e design nella sfida per la sostenibilità grazie ai finanziamenti della regione.

Il laboratorio per la sostenibilità, che ha per direttore scientifico il professor Giuseppe Lotti, fa parte del sistema didalabs comprendente oltre 30 laboratori, ed ha svolto un ruolo fondamentale applicando i principi del design e sviluppando programmi di ricerca sui temi della sostenibilità di prodotti e servizi, dalla fase di concezione a quella di realizzazione.

Infatti la maggioranza dei progetti, frutto delle collaborazioni con le industrie e guidati dal design, che collega il mondo accademico e con quello industriale, sono stati realizzati in forma di prototipi e molti di questi sono oggi in produzione.

La missione del DIDALABS, collettivo di laboratori del Dipartimento di Architettura è il supporto scientifico e tecnico alla didattica ed alla ricerca attraverso il coinvolgimento di studenti e ricercatori nell’area dell’architettura, del disegno industriale, della pianificazione territoriale e del paesaggio.

La mostra digitale varca i confini imposti dalla pandemia e racconta il know-how dei maestri del made in Italy presentando una completa realtà di fruizione che mostra i vantaggi del necessario trasferimento online di mostre e musei in questi tempi difficili, come ad esempio la riduzione dell’impatto ambientale e la possibilità di raggiungere un grande numero di persone.

Nonostante il dipartimento non smetta di credere nell’importanza della fisicità del museo.

Tra i progetti esposti troverete: piattaforme di realtà aumentata; camper a ridotto impatto ambientale; servizi domotici in cloud per camper, nautica e trasporto ferroviario; sistemi prodotto-servizio con sensori che controllano i parametri vitali delle piante e dell’inquinamento atmosferico.

Alla presentazione ha partecipato l’Assessore Leonardo Marras che ha sottolineato come la regione dovrebbe essere un facilitatore per offrire strumenti che aiutino a orientare il sistema ed il credito verso una strategia europea di politica industriale volta a favorire la patrimonializzazione delle imprese e la lotta ai cambiamenti climatici.

Formafantasma al Centro Pecci

Sempre in merito alla sostenibilità l’Università di Firenze ha incontrato, grazie ed un seminario tenuto al Design Campus di Calenzano, il designer Simone Farresin che insieme a Andrea Trimarchi costituisce il team dello studio Formafantasma.Questidesigners dopo gli studi a Firenze hanno deciso di trasferirsi in Olanda, dove hanno frequentato la Design Academy di Eindhoven. Da qui seguono numerosi  successi per il duo: i nel 2011 l New York Times li ha definiti tra i designer più influenti dei prossimi dieci anni; i loro pezzi sono stati acquistati per le collezioni permanenti dei più celebri musei al mondo tra cui il MoMA, il Victoria and Albert Museum, il The Art Institute of Chicago, il Centre Georges Pompidou e molti altri.

Simone Farresin ha illustrato la mostra “Cambio” commissionata dalla Serpentine Gallery di Londra che sarà visitabile al centro Pecci di Prato da maggio. La mostra è un’investigazione sull’estrazione, produzione e distribuzione dei prodotti in legno in cui viene posta in primo piano la materia grezza invece del del prodotto finito, con una particolare attenzione al processo produttivo piuttosto che alla forma. Scopo della mostra è l’acquisizione di consapevolezza della responsabilità politica ed ecologica dell’insegnamento del design. É un’indagine sulla governance dell’industria del legno che produce implicitamente dei design brief che fungono da punto di partenza per mettere in discussione la figura del designer ritratta dall’immaginario collettivo. Non si vogliono offrire vere e proprie soluzioni ma dei suggerimenti, degli spunti di riflessione sui materiali di cui i progettisti si servono quotidianamente in una visione che può essere del tutto speculativa della disciplina, rivoluzionando così il modo di concepire il design. Lo studio ha un approccio al design che non è formale, ma basato su una ricerca di tipo concettuale.  Ecco il perché del nome dello studio: “Formafantasma”. Sono i materiali a parlare e non la forma che rimane in secondo piano per essere svelata solo alla fine.

Il nome della mostra invece; “Cambio”, è l’augurio di un cambiamento di approccio volto alla responsabilizzazione del designer e del consumatore. Cambio si riferisce anche al ricambio della membrana dei tronchi degli alberi che genera il legno verso gli strati più interni producendo il materiale necessario affinché l’albero possa crescere. Formafantasma questa volta ha deciso di concentrare la propria attenzione sul legno, che è il protagonista della mostra.

Questa scelta è stata dettata da molteplici fattori tra cui la volontà di mantenere saldo il legame con le radici del design italiano e quindi la rinomata industria del mobile che attribuisce al legno un ruolo primario. Inoltre, il collegamento con la Great Exibition del 1851 è sorto spontaneo dal momento in cui il sito del Serpentine, che ricordiamo aver commissionato ed ospitato la mostra, è proprio Hyde park, sul cui suolo fu edificato il Crystal Palace, la grande serra progettata da Paxton che ha ospitato la prima Esposizione Universale. Questa monumentale cassa di vetro è servita ad esporre i successi dello sviluppo economico e del disegno industriale e proprio in questo sito emerse la figura del designer moderno. Non solo vi furono esposti macchinari e oggetti innovativi ma vennero esposti i campioni dei materiali estratti delle colonie, primo tra tutti il legno. Al design dunque si chiedeva di dare forma agli oggetti ottenuti grazie ai contributi delle estrazioni di materie prime provenienti da altri paesi e con ciò nascono le problematiche legate alla questione economico ambientale relativa al colonialismo. Cambio presenta alcuni di questi campioni di specie lignee ormai estinte esposti nel 1851.

Per anni non si è riflettuto sui diritti delle foreste, dei loro abitanti e dei raccoglitori delle materie prime. Basti pensare che attualmente la Costituzione Italiana non prende in considerazione esplicitamente l’ambiente e la sua tutela, che solo recentemente sono stati materia di interesse, non essendo in precedenza stata rivolta ,da parte dei legislatori, una particolare attenzione a riguardo. Solo dal 2014 l’UE ha stabilito un sistema di licenze per le importazioni di legname garantendo test sul legno di cui i prodotti che vengono importati in Europa sono costituiti, per capire se siano legali o se invece di origine protetta.

Formafantasma desidera non trascurare la deontologia forestale, la filiera ed il viaggio che compie il legno per diventare prodotto finito. Il legno necessita essere raccontato poiché in esso si disvela un mondo lento, in contrapposizione a quello rapido della dimensione umana, ma altrettanto stimolante. Conoscere le leggi e le normative che regolano le operazioni di disboscamento e piantumazione è di fondamentale importanza. La mostra è una continua conversazione con professionisti di vari settori che parlano dello stesso soggetto osservato da punti di vista diversi, compone una rete di collaborazioni tra esperti in cui le conoscenze sono libere di fluire verso la coscienza del visitatore.

Tra le considerazioni più interessanti emerse dalla mostra che ci riguardano da vicino

vi è sicuramente quella che l’albero, in quanto organismo vivente, assorbe dall’atmosfera anidride carbonica, CO2. In questo modo sottrae una sostanza che è bene sia presente nell’atmosfera in quantità limitate. Il carbonio rimane imprigionato nell’albero e continua ad essere disponibile fintanto che l’albero si preserva nel bosco o nelle nostre case sotto forma di materiale da costruzione. In un metro cubo di legno rimane imprigionata circa una tonnellata di CO2  e questa quantità rimane stoccata fino a quando il legno marcisce o viene bruciato ed essa torna nellatmosfera.

Illustrazione
di Lauren Martin

Quando scegliamo un mobile in legno potremmo tentare di instaurare un ciclo virtuoso in cui il mobile in questione dovrà avere una durata pari o maggiore di quella della vita dell’albero stesso, altrimenti la CO2 sarà rilasciata nell’atmosfera ancor prima del tempo. Ad esempio, se acquistiamo un tavolo in legno dobbiamo conoscere la durata della vita dell’albero di cui è fatto, che se supponiamo essere di novant’anni, il ciclo di vita del tavolo dovrà essere garantito per almeno questo arco temporale, nel nostro caso novant’anni . In un’installazione viene criticata l’industria veloce e l’obsolescenza programmata che porta alla deresponsabilizzazione ed all’acquisto compulsivo non consapevole. La stessa cosa che accade ai mobili accade a maggior ragione a tutti gli oggetti il cui uso è per sua natura effimero.

Un albero impiega cinque anni ad assorbire la CO2 che un piccolo packaging rilascia quando viene smaltito dopo essere stato usato una sola volta.

Alessia Bicci

LA FERITA APERTA NELLA CULTURA ESPOSTA A PALAZZO STROZZI

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A circa un anno di distanza dalle prime misure adottate dal nostro paese per contenere l’emergenza sanitaria da Covid-19, si è diffusa la tendenza a fare una sorta di bilancio generale alla luce dell’anno passato. Il risultato di questo bilancio, per quanto riguarda l’aspetto legato alla cultura, ci è presentato da JR, artista contemporaneo francese, attraverso “La Ferita”, (The Wound), opera site-specific che sarà visibile fino al 22 agosto 2022.
JR ama definirsi un photograffeur, avendo fuso nella sua carriera la fotografia e la street art in declinazioni sempre più collettive e legate alla dimensione urbana: è uno di quegli artisti che ciclicamente ricorda al pubblico i caratteri dell’arte site-specific, “inscindibilmente connessa al contesto architettonico, politico, sociale, istituzionale e culturale per cui è concepita”, definizione che dobbiamo alla critica coreana Miwon Kwon.

La Ferita vista dall’angolo di Via degli Strozzi

Il 19 marzo 2021 Firenze si sveglia con questa enorme (28m. per 33) Ferita: circa 80 stampe fotografiche su pannelli di alluminio compongono un fotomontaggio anamorfico, a metà strada sulla strada infinita dell’arte e della cultura.
Questo trompe-l’œil che squarcia il palazzo porta con sé diversi riferimenti: nella parte alta si trova una scala fittizia che riproduce l’ingresso verso la Biblioteca dell’Istituto Nazionale di studi sul Rinascimento, realmente ospitata negli spazi del palazzo. A seguire, verso il basso, la riproduzione di celebri opere (non conservate realmente nel palazzo) ci ricorda quanta bellezza si celi dietro quelle mura chiuse dal Covid e, almeno metaforicamente, abbattute da JR.


Un altro lemma che JR utilizza nel suo discorso più che mai poliedrico è quello della corrente settecentesca del rovinismo, che esaltava testimonianze di edifici appartenenti a un tempo ormai trascorso, con una sorta di sospiro nostalgico cui affidarsi in momenti di inquietudine generale, momenti come questo.
JR sceglie il bianco e nero come abito vintage da far indossare a una situazione più che mai attuale, creando un contrasto concettuale molto forte fra impressione del passato e consapevolezza del presente. La scelta b&w, ormai caratterizzante delle sue opere, proietta il fruitore in una dimensione che a primo acchito non gli pare la sua, è per forza qualcosa di passato, è in bianco e nero! E invece no, JR denuncia e punta un enorme occhio di bue sulla situazione culturale contemporanea, che quasi sanguina, in b&w.

La cultura è stato uno dei settori che più ha subito il colpo ma, a differenza di altri, è anche uno di quelli che ha fatto meno rumore nella caduta: le persone che frequentano i musei, i teatri, i cinema e i vari luoghi culturali erano (o sono?) viste spesso come persone che usufruiscono di un qualcosa in più, qualcosa da fare nel tempo libero, quindi queste azioni venivano assoggettate a una dimensione ritenuta quasi futile, un je ne sais quoi di superfluo. Lo è?


JR dimostra che non è così portando moltissime persone (fra cui anche i fortunati studenti riusciti a rimanere a Firenze) a fermarsi davanti alla sua opera: perché le persone si fermano? Forse qualcuno si fermerà per curiosità, ma la curiosità si sa, dura poco ed è presto superata; allora perché con lo sguardo, anche dopo aver vissuto il momento di mera curiosità, si rimane a fissare quella facciata? Perché, nel profondo, qualcuno di noi vorrebbe poter fare un passo dentro quest’opera, perché quello che JR mette a nudo, questa Ferita, è presente in ognuno di noi. Una volta consapevoli (grazie all’azione dell’artista) del senso di nostalgia che proviamo verso i luoghi della cultura, il rischio è quello di fare pace con questo sentimento di nostalgia, di abituarsi: JR sembra condurre con quest’opera una battaglia per far sì che nessuno di noi si abitui all’idea di un museo chiuso.


Dopo tutti questi mesi passati davanti alle porte serrate degli Uffizi, piuttosto che del Bargello o di tutti gli altri fiori all’occhiello di Firenze, questa ferita aperta nella facciata di Palazzo Strozzi diventa, come ha dichiarato il Direttore della Fondazione Arturo Galansino, “un invito a ritrovare un rapporto diretto con l’arte e una sollecitazione per nuove forme di condivisione e partecipazione”.


Sono mesi e mesi che i musei cercano di arrivare più vicini al pubblico, attraverso digitalizzazioni, mostre online e iniziative limitrofe. Per portare il museo dal pubblico non è bastato il digitale (per quanto abbia fatto certo il possibile) ma è stato necessario un artista: per un secondo, davanti a Palazzo Strozzi, si è ricreato il sodalizio fra artista, museo e pubblico. In un momento storico dove nulla sembra trovare un suo equilibrio infatti, JR ha dato uno scossone alto 28 metri e largo 33 alla situazione, riportando all’attenzione del pubblico, della stampa e del mondo accademico che la cultura è una priorità; forse, si tratta solo di cimentarsi alla ricerca di soluzioni nuove e sicure.

Come afferma nel suo libro del 2015 Can art save the world?:

Images are not special. It is what you do with them”.

Daria Passaponti

UN PIEDE SUL BATTISTERO

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La città di Firenze è ricca di misteri nascosti tra i suoi vicoli e nelle sue mura…letteralmente!

 Il Battistero di San Giovanni Battista in piazza Duomo è uno dei monumenti davanti al quale si passa più spesso per via della sua posizione centrale, eppure forse c’è un dettaglio che vi è sfuggito. La porta meridionale del battistero, quella che guarda via dei Calzaiuoli, fu realizzata tra il 1329 e il 1336 da Leonardo D’Avanzo e impreziosita con le formelle di Andrea Pisano narranti gli episodi della vita di San Giovanni Battista. Fin qui niente di nuovo, giusto? Se osservate attentamente però noterete sulla destra un rettangolo scolpito nel marmo. Sembra che qualcuno abbia affisso una targa sul battistero. Nessuna targa, tranquilli, sono delle unità di misura medievali.

Il rettangolo, secondo la leggenda, raffigurerebbe l’impronta del piede di Liutprando, re dei Longobardi e re d’Italia dal 712 al 744 d.C; il quale, volendo regolarizzare le transazioni commerciali decise di adottare come unità di misura il proprio piede. Il “pes regis Liutprandi”. Impose così per tutto il Regno una medesima misura lineare. Il cronista Giovanni Villani scriveva: “Dopo Albarigo, regnò re dè’ longobardi Eliprando (Liutprando), il quale fu grande come gigante, e per la grandezza del suo piede si prese la misura delle terre e chiamasi ancora ai nostri tempi piè d’Eliprando, il quale poco meno d’un braccio della nostra misura”.Villani quando parla “della nostra” (misura) si riferisce al fatto che Firenze aveva già delle misure proprie ufficiali sin dal tempo della contessa Matilde di Canossa, incastonate fuori di Porta San Pancrazio, la Porta Occidentale della città. 

Vi erano anche altre tipologie di misure: quelle di volume, di superficie, ponderali e di capacità per solidi e liquidi. Anch’esse avevano come base di riferimento parti del corpo o elementi naturali. A Firenze c’erano quindi il piede, il palmo, il pollice, il braccio e la tesa ovvero la distanza tra le dita medie tenendo le braccia allargate. Il piede del re Liutprando ad esempio, misurava 43 centimetri circa. La leggenda narra fosse un uomo dalla statura eccezionale. (Considerate che 30.5 cm di piede corrispondono ad una taglia 48.5 di scarpe da uomo). Secondo alcuni il rettangolo mostra la misura della somma di entrambi i piedi. In effetti si tratta di una leggenda poiché il battistero fu profondamente ristrutturato nel corso dell’XI secolo ed il il rivestimento marmoreo esterno del monumento come lo vediamo oggi risale al 1128 circa, quindi risalente a molti anni dopo la morte di Liutprando (690-744).

Il rettangolo raffigurante il piede di Liutprando

 Anche le origini del Battistero ad oggi non sono certe, sembra essere stato edificato sui resti di una struttura romana del I secolo d.C. e rimaneggiato nel VII secolo, durante la dominazione longobarda. I primi cronisti ritenevano che il tempio della divinità del dio Marte, antico protettore di Firenze si trovasse dove poi venne edificato il Battistero, forse suggestionati dalla conversione della città al Cristianesimo e dalla conseguente sostituzione del vecchio protettore dio della guerra con il nuovo Santo coraggioso e battagliero; San Giovanni. I due protettori sono infatti accomunati dal coraggio: fisico per Marte e spirituale per il Battista. Gli studi archeologici hanno però smentito l’ipotesi della trasformazione architettonica da tempio dedicato a Marte, a Battistero cristiano. Il Battistero è invece un’opera originale di stile romanico.

In seguito, l’unità di misura longobarda fu sostituita a Firenze da quella che prende il nome di “braccio fiorentino”, pari a 58 centimetri circa. Istituito per evitare imbrogli dei mercanti. Bensì in Piemonte con il nome di “piede Liprando”, l’unità di misura longobarda fu in uso fino all’introduzione del sistema decimale. Vi è ancora un’altra storia legata alla misurazione della materia che spiega forse le ragioni dell’esistenza di un modo di dire fiorentino che sicuramente avrete usato almeno una volta. Come racconta Piero Bargellini; intellettuale e sindaco di Firenze dal 1965-67, nel Chiasso delle Misure, prima ancora Chiasso del Fondaco degli Acciaiuoli, si trovavano gli uffici delle Misure o del Segno. L’Ufficio del Segno era il luogo nel quale venivano depositati e conservati i campioni delle misure e dove venivano verificati gli strumenti di misurazione. Tutto questo veniva fatto per evitare imbrogli da parte dei mercanti i quali spesso assumevano in bottega ragazzi molto giovani e minuti così grazie alle loro braccia ben più corte del braccio fiorentino,riuscivano a gonfiare i prezzi delle merci.

Questa potrebbe essere una delle origini della dicitura “avere il braccino corto”, appellativo fiorentino degli avari. In ogni modo bisognerà attendere l’unità d’Italia per avere un unico sistema metrico in tutta la penisola; con la legge del 28 luglio 1861 venne adottato definitivamente il sistema metrico decimale. Oggi le vecchie unità di misura locali sono molto importanti e fanno parte di uno dei numerosi metodi di datazione storica. La mensiocronologia è un processo utilizzato per risalire alla datazione di edifici storici e si basa proprio sulla misura dei materiali da costruzione impiegati; le cui misure ed unità di misura, come abbiamo visto , variavano a seconda dei comuni ed erano soggette ai cambiamenti politici.

Alessia Bicci

UNA SOFFIATA D’ARTE FRESCA

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Il 21 marzo a Firenze si è dato il via a un progetto di grande coraggio: la cooperazione di varie gallerie del territorio in un lavoro espositivo, volto a sostenere i meritevoli giovani artisti. Per nostra fortuna, nonostante la chiusura delle istituzioni museali in zona arancione, alcune gallerie sono rimaste aperte. Questa volta le gallerie fiorentine si fanno forza a vicenda in un trionfale progetto che ne sottolinea l’amore culturale insaziabile.


Primo Vere, si intitola questa iniziativa promossa da Sergio Risaliti, Direttore del Museo del Novecento. Titolo che rinvia all’esordio editoriale del giovanissimo Gabriele d’Annunzio, il quale a sedici anni diede alle stampe la sua prima raccolta di poesie. E titolo che diviene un buon auspicio per gli artisti emergenti che sono stati selezionati. Inoltre, le sei gallerie fiorentine fino al 20 aprile seguiranno degli orari di apertura coordinati, aperte sia in zona gialla sia in zona arancione, per dare un segnale di rinascita al settore culturale.

Dice Sergio Risaliti: “Primo Vere è un’iniziativa che apre uno spiraglio di generosità e di attenzione nei confronti del talento creativo. Un’occasione per verificare l’esistenza di un sistema artistico locale e quella di una vitalità creativa radicata nel territorio. Giovani artisti e gallerie storiche avviano per la prima volta un progetto espositivo diffuso per mettere in evidenza le potenzialità di Firenze contemporanea, una città laboratorio, inclusiva e formativa, che non vuole essere solo vetrina e passerella, e dove le nuove sensibilità possano trovare occasioni per fare esperienze e sviluppare relazioni in un contesto di nuovo umanesimo che non coltivi il desiderio di bellezza in una sola direzione, il passato, e con un solo scopo, la rendita di posizione. Un altro tassello importante per la ripartenza di Firenze nel cambiamento e nell’orbita di una politica culturale che riconosce, nei cittadini e nei giovani, i protagonisti della rinascita, e nell’arte il volano storicamente necessario per la costruzione di un nuovo umanesimo”


Donatella Pegazzano docente di museologia all’Università degli Studi di Firenze, in una lezione tenutasi per il triennio ha affermato l’importanza del museo nella nostra società: come luogo espositivo, di conservazione delle opere, al servizio della società e del suo sviluppo didattico ed educativo. Le istituzioni culturali non sono statiche, ma si evolvono e generano conoscenza grazie all’attività di ricerca, oltre a quella espositiva per raggiungere la società. Questi luoghi vanno oltre la mera funzione espositiva ma hanno delle funzioni basilari per la sopravvivenza di una società che vuole essere ‘sana’. Sono luoghi di studio, ricerca, diletto, condivisione, istruzione dei cittadini…. In altre parole, senza di esse la società non progredisce ma degrada.

LE SEI GALLERIE DI PRIMO VERE:


FRITELLI


La galleria Frittelli Arte Contemporanea ha inaugurato nel 2006 i suoi nuovi spazi espositivi, completamente ristrutturati dal nostro caro Adolfo Natalini. Le sale si estendono su una superficie vastissima che permette di creare percorsi espositivi all’avanguardia e accogliere una grande quantità di progetti culturali. Oltre alle sale per le esposizioni temporanee, un’area di oltre 350 mq, denominata “Le Stanze”, ospita un allestimento permanente con le opere di artisti con cui la galleria ha collaborato sin dall’inizio della sua attività.


Jessica Fillini, Veronica Greco, Melissa Morris, Gianluca Tramonti, Regan Wheat sono l’energico gruppo giovanile che offrono i loro lavori in un allestimento che non solo le fa emergere individualmente ma le pone in un suggestivo dialogo. Dialogo che si dirama fra il linguaggio concettuale, astratto e informale che rende vive le sale della galleria oltre ai nostri occhi.
Via Val di Marina 15, Tel. 055 410153
info@frittelliarte.it
http://www.frittelliarte.it

SECCI CONTEMPORARY


L’esposizione di Max Mondini è allestita negli spazi della Manifattura Tabacchi, la quale ha collaborato con la galleria nel progetto Primo Vere. Parallelamente le sale della galleria Secci Contemporary espongono due mostre personali di Marco Tirelli e Radu Oreian. Di quest’ultimo, giovane artista rumeno, la galleria ha l’onore di presentare la prima mostra monografica che si tiene a Firenze.


Max Mondini ha affermato a riguardo dei suoi lavori: “Non narrano, non indicano, non possiedono un significato, anche se alla fine tutto finisce per averne uno,[…] diventando un vuoto attivo che viene riempito arbitrariamente. Come un linguaggio esse comunicano, ma non ci aggiungono consapevolezza, mostrandoci qualcosa che nel nostro profondo in realtà già conosciamo, ma in modo talmente netto e lucido che ci appare come una rivelazione. A volte nell’arte troviamo delle verità, anche quando non le stavamo cercando”. I suoi lavori sono quindi liberi di prendere strade del tutto impensate. Tolto ogni riferimento culturale esplicito, essa diventa un oggetto in continua determinazione.
Piazza Carlo Goldoni 2, tel. 055 661356
gallery@eduardosecci.com
http://www.eduardosecci.com


POGGIALI
Con tre sedi diverse in Italia: a Firenze, Pietrasanta (LU) e Milano. Nel capoluogo fiorentino si ubica nei pressi della Basilica di Santa Maria Novella, ha recentemente esposto i lavori dello scultore Fabio Viale. Tuttora le sale ne rimembrano la collaborazione.

Infatti, nell’allestimento di Primo Vere negli spazi della galleria, oltre alle opere degli artisti fiorentini selezionati, campeggiano le sue sculture marmoree. Appare un’ottima occasione per chi si fosse perso la sua mostra lo scorso inverno, oltre ad essere un’ottima occasione per conoscere artisti che, nelle loro ricerche artistiche molto differenti, ci conducono attraverso i loro lavori in un sogno figurato e ragionato.


Francesca Banchelli, Irene Lupi, Virginia Zanetti sono i giovani artisti che vi aspettano nella prima parte del percorso espositivo per narrarvi la loro visione di Primo Vere.
I lavori di Francesca Banchelli si legano ad un progetto che l’artista porta avanti da diversi anni attorno al tema del fuggitivo. I fuggitivi sono figure solitarie o piccole comunità che si incamminano e si incontrano per riformulare un nuovo inizio.
Via della Scala 35/a, tel. 055 287748
info@galleriapoggiali.com
http://www.galleriapoggiali.com


SANTO FICARA


Rassegne, iniziative, mostre, collaborazioni con enti pubblici; tra i numerosi progetti la galleria diviene sempre più punto di riferimento e mezzo culturale conoscitivo degli artisti contemporanei. Per il progetto Primo Vere espongono i lavori pittorici e concettuali di due artisti Davide D’Amelio e Gabriele Mauro che attendono di essere sperimentate dai nostri sensi.


Il lavoro di Davide D’Amelio si concentra sulla struttura e sulla storia dell’immagine e della visione restituendo un’immagine che scava nel vissuto infantile e sessuale di ognuno di noi. Dunque, per ogni opera c’è un vissuto, e per ogni vissuto un’emozione personale che riemerge davanti ad essa.
Via Arnolfo 6L, tel. 055 2340239
info@santoficara.it
http://www.santoficara.it


IL PONTE


Nel 2003 lo spazio della galleria è stato ulteriormente rinnovato per renderlo al passo con le novità contemporanee dei nostri tempi. Questa nuova stagione si è inaugurata con un’importante mostra dedicata alle Superfici specchianti del grande Michelangelo Pistoletto. In concomitanza del progetto Primo Vere: Jacopo Buono, Matteo Coluccia, Stefano Giuri mostrano le loro creazioni negli spazi di Il Ponte.


Jacopo Buono ha ragionato sull’attuale situazione pandemica ed in particolare su come le nostre azioni, esperienze ed emozioni umane, possano convivere con le restrizioni vigenti.
Anche Stefano Giuri realizza i suoi lavori partendo dall’attualità, in particolare concentrandosi sulle tracce materiali e immateriali che ogni epoca lascia dietro di sé’. Curioso di sapere cosa l’artista pensa della nostra epoca?
via di Mezzo 42/b, tel. 055 240617
info@galleriailponte.com
http://www.galleriailponte.com

LA PORTINERIA


La Portineria è collocata all’interno di Palazzo Poli, il quale prende il nome dal suo famigerato architetto: Oreste Poli, amante del cemento armato, che traduce in una veste elegante e moderna attraverso la geometrizzazione delle forme. Lo spazio espositivo è al piano terra, ambiente che viene animato dalla luce naturale e dalle opere dei più svariati artisti contemporanei. Il nome della galleria si deve all’originaria funzione a cui era adibito lo spazio in cui oggi vengono esposti i lavori degli artisti. Hanno reinventato e sfruttato uno spazio fuori uso per delineare un vero e proprio centro propulsivo di attività e ricerche culturali, anche in rapporto con il quartiere fiorentino


Fino al 20 aprile le opere di Marco Mazzoni rivitalizzano la galleria. I suoi lavori ragionano sul movimento, sull’azione, sullo spazio circostante che interpreta e restituisce in uno stato di ‘potenzialità’ che è da osservare ma anche vivere. Infatti, al centro della stanza campeggia Carpet realizzato a mano da Marco. Con questo lavoro rompe con il concetto di intoccabilità dell’opera d’arte perché lo possiamo calpestare, percorrere in lungo e in largo come vogliamo. Blocca così l’azione nel suo divenire, in una sequenza di tanti attimi diversi cristallizzati sulla ‘tela’. Insomma un’ottima occasione per i visitatori di lasciare un segno nella storia dell’arte con l’artista stesso.

Viale Eleonora Duse 30, tel. 348 5655831
info@laportineria.art
http://www.laportineria.art

Beatrice Carrara

AL MUSEO, MA SUL DIVANO DI CASA – PICCOLA GUIDA ALLE VISITE DIGITALI

Tempo di lettura: 4 minuti.

Più volte nelle aule, virtuali, della facoltà di Architettura ci siamo interrogati su come le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria abbiano cambiato il modo di fruire l’arte, portandoci a riflettere su come lo spazio in cui si svolgono gli eventi non ricopra un ruolo marginale ma faccia parte dell’evento in sé. È innegabile la rilevanza dello spazio fenomenico nel vivere quotidiano, ovvero lo spazio in cui si forma la personale rappresentazione del mondo.

Lo spazio si configura e si modifica a seconda dei nostri movimenti all’interno dello stesso. Funziona come un filtro, il mezzo tramite il quale siamo immersi nella realtà, uno spessore tra l’io e la percezione e al contempo mediatore di quest’ultima.

Lo spazio è percepito dal soggetto in maniera attiva, con il corpo e la totalità dei sensi in un flusso di scambi reciproci.

La psicologia della  Gestalt introduce la nozione di affordance di J. Gibson, la teoria ecologica della visione secondo cui la percezione  di un oggetto, mediata dalla sensazione e quindi dai sensi, comporterebbe la selezione delle proprietà intrinseche che ci consentono di interagire con esso. In sostanza il fruitore vede o tocca un oggetto e coglie immediatamente la possibilità di interazione con esso perché tali informazioni sono già racchiuse nell’oggetto che si offre al pubblico. Le cose si offrono (to afford) ai nostri sensi, e a seconda di come ci vengono presentate possono essere percepite in maniera diversa.

Attraverso il modo in cui espone l’arte il museo racconta di una società che si identifica in quell’arte e che ne fa uso per riflettere su se stessa; parla di come quella società organizza il sapere. Gli spazi espositivi hanno subìto una notevole evoluzione nel tempo, dalla galleria rinascimentale al modello del White cube.

Oggi gli artisti contemporanei tendono ad espandere il proprio intervento nello spazio che li circonda. L’architettura dei musei ha avuto una vera e propria evoluzione: basti pensare al Groninger Museum o al centro Pompidou, luoghi deputati alla visita di opere d’arte, sono a loro volta un prodotto artistico che predispone l’osservatore ad una esperienza multisensoriale polivalente.

Il museo dunque non è più semplicemente il luogo dove esporre le opere d’arte, ma è la fusione di una serie di funzioni e servizi: sale espositive, laboratori, bar e ristoranti.

Questa complessità che oggi va a caratterizzare il museo, lo eleva a segno identificativo della metropoli contemporanea. Luogo di laica sacralità e mezzo essenziale per l’educazione emozionale.

I confini del museo con l’esterno sono liquidi: abbiamo assistito alla trasformazione del museo: da luogo dell’eccezionalità elitaria, il “Mouséion” in Alessandria d’Egitto, a luogo della quotidianità. Infatti si è compreso che sono conquistabili tanti più visitatori quanto più i musei si mostrano accoglienti per tutti.

-Se il tema ti interessa l’università di Firenze presenta nell’offerta formativa il master di secondo livello del dipartimento di Architettura “Museo Italia- Allestimento e museografia” diretto dal professor Paolo Zermani. –

Per saperne di più visita il sito:

https://www.unifi.it/vp-11857-dipartimento-di-architettura-dida.html#museo

Appurato il valore dell’esperienza materica e dello spazio, sia espositivo che architettonico nell’approccio con l’arte, dobbiamo fare i conti con l’attuale impossibilità di visitare i musei. Siamo costretti ad un approccio che ai più risulta insolito, vittime dell’atrofizzazione dei sensi forzatamente incollati alla dimensione domestica. Se già il rapporto con l’opera d’arte era complesso adesso il “Ceci n’est pas une pipe” di Magritte davanti agli schermi si moltiplica in “ceci n’est pas untableau (quadro)”. In una sorta di decontestualizzazione della decontestualizzazione. Non tutto il male però viene per nuocere! Infatti l’esperienza virtuale non è priva di vantaggi e non deve essere necessariamente comparata con la visita dal vivo poiché il digitale fa da sostegno e non da sostituto. Così come le piattaforme di streaming di brani musicali non rimpiazzano i concerti, questa situazione di emergenza si può rivelare portatrice di nuovi mezzi per ampliare il concetto di fruizione museale.

Basta una connessione ed uno smartphone ed abbiamo accesso a musei dall’altra parte del globo, altrimenti inesplorabili.

Ecco quindi alcune delle piattaforme virtuali dove rifugiarsi in caso di crisi d’astinenza da arte:

  • Google Arts & Culture, un museo digitale con visite virtuali, mostre, collezioni e luoghi di interesse storico. Le immagini delle opere sono ad alta definizione ed è possibile ingrandirle per cogliere dettagli che non potrebbero essere osservati neppure dal vivo.
  • Il sito del MET è uno dei più completi con audioguide, un ampio catalogo di libri consultabili online, video spiegazioni ed un canale YouTube.
  • Il sito del British museum offre tour virtuali delle varie sale ed un canale Youtube .
  • Se preferite l’arte moderna il sito ed il canale del Tate Modern fanno al caso vostro. Audioguide per ogni opera, articoli e tutorial per ricreare le opere dei vostri artisti preferiti.
  • Meritano anche i tour a 360° del sito dei Musei vaticani (stanze di Raffaello, cappella Sistina, sale Paoline ecc.)
  • Gli Uffizi con il loro sito mostrano le opere ad alta definizione con annesse spiegazioni
  • Il Rijksmuseum Amsterdam invece nella sezione Rijksstudio ricrea un vero e proprio allestimento online.
  • arte.tv : in sei lingue, tra cui l’italiano, troverete video (anche molto brevi), cortometraggi e documentari gratuiti su arte, architettura e non solo.
  • L’Associazione Mus.e cura la valorizzazione del patrimonio dei Musei Civici Fiorentini ed in questo periodo offre visite online gratuite, su prenotazione, che si svolgono su Zoom.

Alessia Bicci

UNO DEI NOSTRI “LUOGHI DEL CUORE”

Tempo di lettura: 4 minuti.

CASTELLO E PARCO NATURALE DI SAMMEZZANO

Il 25 febbraio scorso il FAI, Fondo Ambientale Italiano, ha annunciato i vincitori della campagna nazionale ‘Luoghi del Cuore’, concorso volto a sostenere i luoghi italiani che ci hanno rapito il cuore. Per chi si stesse ancora chiedendo cosa sono i Luoghi del Cuore lo chiarisce Giuliana Maria Mozzoni Crespi : “

E’ come se infinite piccole fiammelle venissero accese nelle città, nei paesi aggrappati alle colline, lungo le frastagliate coste, attraverso le pianure, in mezzo agli alberi dei boschi, lungo i fiumi…sono quei luoghi che gli uomini hanno amato, vissuto, intravisto, sognato, con nostalgia ricordato”

Una ricchezza di flora circonda l’architettura e con essa crea un contrasto; cromatico, materico.

Nell’anno pandemico il censimento del FAI ha conosciuto il maggior numero di partecipazioni. Con ben 2.353.932 voti, gli italiani hanno voluto manifestare il loro riconoscimento emotivo verso il loro patrimonio culturale e ambientale.

E’ una località fiorentina quella che si è aggiudica il secondo posto: il Castello e parco naturale di Sammezzano, a Leccio, frazione del comune di Reggello. A seguire il castello di Brescia, mentre la Ferrovia “delle meraviglie” Cuneo-Ventimiglia-Nizza ,con 75.586 voti, trionfa sulla vetta.

Non è la prima volta che si celebra la bellezza del castello fiorentino, perché già nel 2016 Sammezzano è risultato il primo classificato tra ‘i Luoghi del Cuore’. Negli stessi anni il castello è stato utilizzato per la realizzazione di spot e film tra cui spicca “Il racconto dei racconti” del regista Matteo Garrone.

Il castello e la sua ambientazione allegorica sono state sede anche di altri progetti cinematografici tra cui “L’Oriana”, film biografico dedicato ad Oriana Fallaci, e “The evil inside”, film horror diretto da Carlo Baldacci.

L’edificio si sviluppa orizzontalmente su tre registri, e verticalmente in sette parti. L’ingresso è evidenziato: dal corpo centrale dell’architettura, che sopraeleva nella funzione di segnare le ore, e dalle scale a ferro di cavallo.

CENNI STORICI-ARTISTICI

Il castello di Sammezzano svetta sulla sommità d’una collina, già nel corso del IX secolo svolgeva il ruolo di fortezza medievale. Si narra che in passato accolse addirittura il re dei Franchi Carlo Magno. In tempi più recenti, e da fonti più certe, è il soggiorno di Umberto I presso la fortificazione releggese.

I Gualtierotti, gli Altoviti e i Medici sono alcuni dei nomi delle nobili famiglie fiorentine che si sono passate la proprietà tra il XIV e XVI secolo. Nel 1605 ne divenne proprietaria la famiglia Ximenes d’Aragona, ma solo nella seconda metà del 1800il Castello di Sammezzano ha assunto l’aspetto che vediamo oggi.

La sua straordinaria veste architettonica è dovuta ai lavori intercorsi tra il 1842 ed il 1890 per volontà del marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona. Ferdinando fu protagonista della vita culturale, sociale, politica della Firenze del tempo, fu anche Deputato del Regno , oltre che supervisore e direttore di ogni aspetto estetico che interessò l’edificio.

Le varie trasformazioni architettoniche che si susseguirono in quei decenni rispecchiano il gusto della corrente dell’Orientalismo che in quegli anni divampava in Europa. Fu così che il castello di Sammezzano divenne il più importante esempio di architettura eclettica di corrente orientalista d’Italia, oltre che essere scrigno memoriale del marchese che ne diresse personalmente i lavori.

Sala d’Ingresso: si sviluppa su due livelli nella varietà dei colori e delle decorazioni che la caratterizzano. Il secondo registro è il ballatoio, arricchito da vetrate policrome e dal soffitto a cassettoni. L’edificio ci accoglie così nello stile moresco e barocco.

Nel castello sono richiamati capolavori architettonici di arte moresca come l’Alhambra di Granada ed il Taj Mahal in India. Inoltre l’architettura è immersa in uno dei parchi storici più vasti della Toscana, con oltre cento specie arboree esotiche.

Lo definisco ‘ scrigno memoriale’ perché il mirabile Ferdinando marchiò ogni sala con alcune delle sue citazioni, che ci hanno consentito di conoscere meglio i suoi pensieri, credo, desideri che coltivò in vita. Queste tracce testuali tengono vigili i nostri occhi, infatti immersi nella maestosa varietà di questi spazi siamo al sicuro dal rischio di annoiarci. La maggior parte di queste iscrizioni comunque esprimono l’amarezza, e la frustrazione di un uomo che a un certo punto della sua carriera di Deputato del neonato Regno D’Italia, decise di dimettersi, deluso da quelle che erano le manovre segrete politiche: la sua delusione si esprime bene nell’ iscrizione riportata nella nicchia del Corridoio delle Stalattiti che tradotta dice : ”Mi vergogno a dirlo, ma è vero: l’Italia è in mano ai ladri, esattori, meretrici, e sensali che la controllano e la divorano. Ma non di questo mi dolgo, ma del fatto che ce lo siamo meritato!”

Sala d’Ingresso: particolare di un arco a ferro di cavallo che delimita lo spazio al piano terra. L’architrave presenta una scritta, in caratteri gotici, che recita “Non plus ultra”, “non si può andare oltre”, quasi a voler dire che non esiste un luogo più bello di questo al mondo.
 

Mentre varcata la soglia d’ingresso del Castello di Sammezzano ci accoglie l’iscrizione che recita: “Sempre non c’è scampo, è così e basta. Per avere successo nella vita si deve essere volgari ed infami. Altrimenti saremo condannati all’oblio”.

Gli ambienti divengono così lo specchio di Ferdinando che si presenta a noi. Figura mirabile perché ha racchiuso ed edificato in mattoni, il suo pensiero, e la sua visione del mondo senza esitare a denunciare i mali del suo tempo.

Beatrice Carrara

LO SPEDALE DEGLI INNOCENTI TRA PASSATO E PRESENTE

Tempo di lettura: 5 minuti.

Spedale”, dal dialetto fiorentino, dedicato all’accoglienza dei bambini abbandonati; “Innocenti”, in riferimento all’episodio biblico della strage degli innocenti. Quante volte ci siamo passati accanto, quante volte abbiamo attraversato la piazza di Santissima Annunziata, ora al centro di ferventi polemiche legate alla movida fiorentina in tempo di pandemia? La piazza di Santissima Annunziata ha avuto (e speriamo possa tornare presto così) un ruolo centrale per gli studenti di discipline umanistiche: chi non ha mangiato una schiacciata durante una pausa dalle lezioni tenute nella sede della Facoltà di Lettere di Piazza Brunelleschi? Chi non ha sorseggiato uno spritz festeggiando un esame passato magari nella attigua sede universitaria di Via Laura, o quella in via Gino Capponi? La piazza e le scalinate del loggiato sono state teatro di tante esperienze studentesche, da manifestazioni legate a svariati obiettivi a “semplici” studi e analisi di ciò che caratterizza lo spazio circostante: ed è proprio di quest’ultimo che andiamo a trattare.

Una veduta presa dall’angolo uscendo da Via Gino Capponi, zona universitaria molto frequentata.

Certo lo Spedale ne ha viste di cose: la sua fondazione risale al 1417, dopo un generoso lascito del celebre mercante pratese Francesco Datini, cui specialmente gli archivisti devono molto alla luce del vastissimo archivio di lettere e registri da lui realizzato, che ha permesso di avere uno spaccato della vita dei mercanti di metà XIV secolo. Nel 1419 lo Spedale è niente più che un seme, appoggiato delicatamente ai lati di quella che diventerà la piazza di Santissima Annunziata, che attende di germogliare.

Il demiurgo dello Spedale (e poi della stessa Firenze per molti aspetti) sarà il tanto caro ai fiorentini Filippo di Ser Brunellesco Lapi: dietro lo sguardo severo dell’Arte di Por Suora Maria, garante del lascito del Datini, Brunelleschi farà innalzare la prima colonna del portico degli Innocenti nel 1421 (un anno dopo la partenza dei lavori per la cupola di Santa Maria del Fiore) e sarà a capo dei lavori fino al 1427, anno dopo il quale l’impresa sarà recuperata da Francesco della Luna.

Il progetto iniziale del Brunelleschi è basato sul contrasto tra linee curve e linee rette: questa “lotta” fra rigidità e morbidezza è da inscrivere in una Firenze fortemente intrisa di filosofia e di studi sempre più rivolti a Platone. Le pagine del Timeo occupano uno spazio importante nella mente di coloro che si avviano a diventare artisti, personaggi intellettuali, politici come Coluccio Salutati, che esporranno concetti rimasti poi alla base del tessuto umanistico fiorentino, tessuto le cui trame si possono sfiorare ancora oggi e che sono tuttora particolare oggetto di studio degli universitari fiorentini.

Secondo quanto dice Platone nel Timeo, la proporzione che si instaura fra le misure del segmento e del cerchio è in grado di creare “una cosa sola di sé e delle cose degli altri”.

Questo è il punto di partenza del Brunelleschi, il punto di partenza dello Spedale degli Innocenti, la chiave di volta e di lettura su cui fonderà gran parte degli interventi operati a Firenze. I portici dello Spedale si sviluppano dunque partendo da forme rettilinee, le colonne, che invitano a percorrere una sorta di ascesa, anche solo con lo sguardo, verso le linee curve che ci avvicinano al mondo al di là, quello superiore, quello perfetto.

La dicotomia esistente fra “questo mondo” e “quel mondo” è richiamata anche dagli apparati decorativi dei capitelli, che da un lato presentano decorazioni fogliacee, rimandi alla natura terrena da cui provengono i bimbi abbandonati, mentre dall’altro lato abbiamo una conchiglia da cui nasce una vite, a simboleggiare la nuova vita cui accedono i bimbi, “abbandonati dalla madre e dal padre, e accolti dal signore” come recita il Salmo 23.1 inciso sulla rota degli Innocenti.

La rota era il pertugio in cui venivano messi i bambini, spesso durante la notte, lontano da occhi indiscreti; spesso ai trovatelli veniva poi dato un cognome il cui retaggio oggi è individuabile nei cognomi “Innocenti, Degl’Innocenti, Nocentini”, pratica che poi è stata interrotta al fine di non rendere evidente la provenienza incerta di alcuni soggetti.

Il loggiato degli Innocenti si apre sulla piazza in cui troneggia la statua equestre di Ferdinando I de’ Medici, opera del Giambologna.

Poco dopo la metà dell’800 allo Spedale furono necessarie opere di risanamento economico: per far fronte a questo problema il commissario Carlo Michelagnoli vendette le opere allora considerate di minor prestigio, conducendone così alcune nelle mani dei grandi collezionisti europei e che, dopo chissà quali inimmaginabili percorsi, giunsero nella collezione del Victoria and Albert Museum di Londra. Nel 1853 venne alla luce l’idea di costituire un museo, idea che si concretizzò negli anni ‘90 con l’apertura di tre locali nell’odierno “Cortile delle Donne”.

Da questo momento in poi  la storia del Museo si percorre attraverso grandi acquisizioni (come la “Madonna con Bambino e angelo” di Sandro Botticelli) e innovative ricollocazioni, come il trasferimento nella galleria al primo piano sopra il portico della facciata nel 1971, e infine l’inaugurazione del nuovo museo con tre diversi itinerari tematici nel giugno 2016.

Oggi trovano collocazione al suo interno vari centri per l’infanzia, case famiglia, centri per madri in difficoltà, uffici di ricerca UNICEF: la strada fatta da questa istituzione fiorentina è lunghissima ed ha condotto lo Spedale nel 1997 a diventare Centro Nazionale di documentazione e analisi sull’infanzia e l’adolescenza, riconosciuto come un punto importante di riferimento europeo e nazionale per la salvaguardia dei diritti dell’infanzia. Primo centro di accoglienza per neonati in Europa, lo Spedale e il suo loggiato meritano un passaggio in Santissima Annunziata un po’ più lento, al netto di tutti gli impegni della giornata: la regolarità, il contrasto gentile fra la pietra serena e il bianco di San Giovanni, la cupola che fa capolino da un lato e la vista verso i colli di campagna affacciandosi su Via Gino Capponi sono elementi cui almeno una volta, passando da lì, bisogna fare caso.

Daria Passaponti

L’URBAN ART ENTRA PER LA PRIMA VOLTA NELLE COLLEZIONI DEGLI UFFIZI

Tempo di lettura: 2 minuti.

L’arte urbana col passare del tempo sta abitando sempre di più i luoghi pubblici delle nostre città. Una prova evidente ne è la sua recente integrazione nella collezione degli Uffizi: tramite la donazione dello street artist Endless. E’ un giovane artista britannico, che ha creato appositamente per la Galleria degli Uffizi ‘Autoritratto’, determinando così la prima volta che l’arte contemporanea entra a far parte del museo fiorentino.

Nella sua arte Endless propone una fusione originale tra punk e pop, che nell’autoritratto si estende all’arte concettuale” dichiara il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt. “Osservando, nelle collezioni storiche degli Uffizi, come i granduchi Medici fossero avidi nell’ accaparrarsi le ultime novità prodotte sulla scena artistica, penso che oggi sarebbero felici di vedere l’opera di Endless entrare nelle raccolte che loro hanno con tanta cura iniziato e incrementato, secoli fa”.

Pasquale Lettieri, critico e storico dell’arte, ha spiegato come “Endless elabora le sue ‘dilatazioni simboliche’, passando dal pennello allo spray, dal lusso al pop, e fa specchiare due perfezioni diverse, l’una sapienziale e tragica, vissuta sul filo tagliente dell’eresia e della follia, l’altra scientifica, sperimentale, elaborata analiticamente, sul crinale di un perfezionismo, paradossalmente analogo, sulla simulazione, mettendo insieme il museo e la strada, il moderno e il postmoderno”.

Osserviamo più da vicino l’opera: è a tecnica mista, suddivisa su due registri all’interno di un consueto formato a tela. Due dei tre personaggi raffigurati sono Gilbert e George, rispettivamente a destra e a sinistra della tavola. Sono una celebre coppia dell’arte contemporanea che, a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha inaugurato un nuovo modo di concepire e vivere l’opera scultorea. Fulcro del lavoro è la fotografia scattata dal fotografo Noel Shelley secondo le direttive dello street artist. In essa si vedono sia Gilbert & George, nella loro consueta posa da ‘sculture viventi’, sia Endless, mentre legge una rivista che gli copre parte del volto.

La copertina della rivista raffigura una delle creazioni più famose di Endless: Crotch Grab, remake della pubblicità di Calvin Klein degli anni ’90. Crotch Grab, inoltre, fu l’inizio della conoscenza e collaborazione dello street artist con Gilbert e George, e la sua citazione all’interno del quadro delinea una sorta di flashback che ci riporta agli albori della loro amicizia. Ma è nell’atto di Endless di coprirsi il volto il significato dell’opera, ovvero il riferimento all’anonimato, perno della cultura della street art.

Raddoppiando in verticale questa ‘trinità laica’, introduce una metafora dell’uso di iterazioni e slogan nell’industria pubblicitaria. Infine la cornice della tela sono le scritte a graffito autografe di Endless, che conferiscono dinamicità e contrasto alla composizione.

È un onore – dichiara emozionato Endless alla stampa – che la mia opera d’arte venga aggiunta alla collezione delle Gallerie degli Uffizi. Gli artisti che provengono da un background di arte di strada sono raramente riconosciuti dai musei più prestigiosi, in particolare quelli con tale caratura storica e culturale. La street-art, dopotutto, è arte in sé e contiene un significato storico per la nostra epoca e per le persone comuni che la vivono e si muovono al suo interno. Sono orgoglioso di questo risultato e spero che i visitatori del museo si interessino a questo nuovo genere di opere d’arte”.

Le parole espresse dallo street artist, in occasione dell’inaugurazione del lavoro alla Galleria degli Uffizi, ci ricordano l’importanza del messaggio sociale che la street art ha l’obiettivo di veicolare e salvaguardare.

La sede della Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze: nel cortile dell’entrata principale, ci accoglie nella veste dell’urban art. Sfortunatamente il tempo ne sta lasciando solo un ricordo dei murales.
Forse dovremmo cogliere da questo avvenimento, entusiasmante per la storia della museologia fiorentina, un buon proposito per permettere a nuovi studenti di dipingerne le pareti. Così da servirci dell’arte per dar voce alla nostra comunità universitaria.

UNO SGUARDO SULL’ARTISTA:
Di base a Londra, dove ha iniziato a dare voce ai muri della metropolitana attraverso la sua pittura, Endless, nei suoi progetti ritrae elementi simbolo della società contemporanea. I temi su cui concentra il suo studio sono: l’adorazione dei brand, la pubblicità, il consumismo e la cultura delle celebrità.

Lo scorso febbraio anche Cortina d’Ampezzo ha conosciuto la sua creatività artistica, dove ha portato a termine l’incarico di dipingere un murale nella famosa località dolomitica, in occasione dei Mondiali di Sci Alpino 2021 (conclusosi lo scorso 21 febbraio). Evento che le ha permesso di comunicare la propria arte a un pubblico internazionale.

Mentre a Firenze il suo nome non è nuovo, infatti nel 2019 l’artista era stato ospite a Pitti Uomo che gli aveva commissionato la realizzazione di un murale (di 5 metri per 9) raffigurante Karl Lagerfeld, guru della moda scomparso pochi mesi prima.

UNO SGUARDO SULLA GALLERIA DEGLI UFFIZI:
Il museo fiorentino ha annunciato il progetto ‘Uffizi diffusi’ che prenderà forma espandendo la sede museale fiorentina in un centinaio di sedi sul territorio. Una di esse è già stata annunciata: l’Isola d’Elba che ospiterà una mostra inerenti alla figura di Napoleone Bonaparte.

Il progetto Uffizi diffusi non poteva non toccare Portoferraio, città che lo stesso Cosimo I aveva scelto come presidio del Granducato di Toscana nell’Arcipelago – spiega Giani – Forte Falcone potrà essere un eccellente scrigno per una serie di opere strettamente legate ai temi che si intrecciano con la storia dell’Elba e dell’Arcipelago, ad esempio tutte le opere che si riferiscono alla vita e all’opera di Napoleone Bonaparte, del quale quest’anno ricorrono i 200 anni dalla morte”.

È eticamente scorretto tenere le opere chiuse nei depositi” è un’affermazione di Schmidt che evidenzia come, realmente, qualcosa sia cambiato nel settore museale.

Uffizi diffusi’ è un progetto molto ambizioso, che tende ad abbattere i confini museali tramite l’esposizione delle opere ad un pubblico esteso sul territorio. Ma non solo, perché in questo periodo di crisi del settore turistico, acquisisce un ulteriore messaggio, ovvero introdurre nei processi di sviluppo del nostro Paese elementi di riqualificazione territoriale attraverso la cultura.

Beatrice Carrara

L’ARTE CHE PARLA DAL WEB

Tempo di lettura: 50 secondi.

Tra mostre e tour virtuali, i social network sono divenuti chiave d’accesso al mondo dell’arte, ed esserci o meno fa davvero la differenza. Nascono figure professionali dedicate alla comunicazione dell’arte sul web.

Grazie ai social network in molti possono vedere, studiare, comprare opere d’arte, parlare con gli artisti e decidere se visitare una mostra, un museo o una galleria tutto questo comodamente dal proprio telefono. Gli stessi artisti usano questi mezzi per mostrare le proprie opere d’arte, per raggiungere un più vasto pubblico e in casi eccezionali essere essi stessi mezzi per creare nuovi progetti.

Emblematico è il lavoro “Love Stories – A Sentimental Survey” di Francesco Vezzoli. E’ l’opera dell’artista italiano attivato dal maggio 2020 sull’account Instagram di Fondazione Prada, in cui l’artista mette in luce con il linguaggio dei social lo stato emotivo, amoroso e psicologico della comunità online. Con “Love Stories” si appropria e sfrutta le strategie comunicative di Instagram, in particolare la funzione del sondaggio delle stories, strumenti che si stanno rivelando essenziali nel mantenere saldi i legami con gli amanti dell’arte e perché no affascinare e coinvolgere nuove persone. Ed è così che il web offre nuove opportunità, e nuove interazione nel mondo dell’arte e dei suoi protagonisti.

La metamorfosi che da tempo ha investito il mondo dell’arte, a favore di una mediazione telematica, è rintracciabile sulla pagina web del MiBACT, la quale ci illustra le istituzioni che hanno aderito all’iniziativa  #iorestoacasa: https://www.beniculturali.it/visite-virtuali.

E’ un progetto che si è esteso su scala internazionale ed è in progressiva crescita, infatti possiamo visitare le collezioni del :

Solomon R. Guggenheim Museum, New York

Louvre, Parigi

Museo del Prado, Madrid

Hermitage, San Pietroburgo

British Museum,Londra

Rijksmuseum, Amsterdam ecc…

Non a caso dall’inizio della pandemia i musei hanno subito un calo di visitatori, al contrario, le loro piattaforme web hanno avuto un aumento considerevole di spettatori da tutto il mondo. Recentemente la National Gallery ha stilato l’elenco delle opere pittoriche più cliccate nell’arco di tempo dell’ultimo anno. I girasoli di Vincent Van Gogh si aggiudicano il terzo posto, la medaglia d’argento Gli ambasciatori di Hans Holbein il Giovane mentre, al primo posto, troviamo il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck. A proposito di ciò Gabriele Finaldi, direttore della National Gallery, spiega: “È significativo che il ‘Ritratto dei coniugi Arnolfini’ di Jan van Eyck e ‘Gli Ambasciatori’ di Holbein siano le immagini che la maggior parte delle persone hanno cercato online. Entrambe sono scene di interni con persone vestite molto elegantemente, e mi chiedo se riflettano il nostro essere rinchiusi in casa durante il lockdown, desiderosi di uscire e festeggiare! Anche se la Galleria è chiusa, i nostri capolavori sono disponibili online per tutti”.

Dunque l’arte non ha esitato ancora una volta ad essere una medicina contro la crisi. Lo stesso numero di visitatori registrati a gennaio in concomitanza della  riapertura della Galleria degli Uffizi, con una media di 1200 visitatori giornalieri, dimostra la centralità dei musei nella comunità. Tuttavia i social network rimangono un potentissimo mezzo di integrazione sociale, strumenti  che le istituzioni culturali dovranno sempre di più sfruttare a loro vantaggio. 

Anche i profili Instagram di ragazzi intraprendenti sono valorosi mezzi di divulgazione della storia dell’arte, attraggono persone di tutta l’età e li conducono mano nella mano alla scoperta dei grandi capolavori. Giulia Bendinelli, studentessa di Storia e tutela dei beni culturali artistici presso l’Università degli studi di Firenze, è tra coloro che sfrutta questi mezzi per divulgare l’arte col cuore. La sua pagina instagram è @brezzadarte, e ho avuto la possibilità di intervistare:

Cosa ti ha spinto a condividere contenuti artistici su instagram? E cosa ti piace di più di questa “impresa sociale”?

Assolutamente la passione. Lo ripeto spesso, forse anche troppo, ma il motore del mio lavoro è la passione. Adoro quello che studio (per chi non lo sapesse, faccio Storia e tutela dei beni culturali) e mi è sempre venuto spontaneo condividerlo con i miei amici e la mia famiglia. Aprendo @brezzadarte e il canale su YouTube ho semplicemente ampliato il mio pubblico e ho trovato tantissime altre persone, esperte e non, che condividono l’amore per la storia dell’arte. Quello che mi piace di più è sicuramente il dialogo che si crea con chi mi segue: ci sono tante persone che mi scrivono dandomi le loro opinioni su un’opera e su un artista e questo mi permette di avere punti di vista diversi e di ampliare i miei orizzonti. Spesso parlo anche della mia esperienza universitaria, raccontando sia gli episodi positivi che quelli negativi; anche in questo caso è molto interessante quando le persone mi scrivono cosa vivono e mi fa sentire meno sola nell’affrontare le difficoltà

La pandemia ci costringe a mediare il nostro rapporto con le istituzioni culturali telematicamente attraverso tour virtuali, webinar, collezioni online ecc… ne hai fatto uso? se sì, hai dei siti che sono stati di tuo gradimento e che ci vuoi consigliare?

Una delle conseguenze più brutte di questa pandemia è stata la chiusura dei luoghi della cultura: mi sono impegnata in prima persona per mostrare la mia vicinanza a tutte queste istituzioni. Ho seguito regolarmente i profili Instagram e Facebook di musei, gallerie e aree archeologiche, che in questo periodo sono stati molto attivi e hanno sempre pubblicato contenuti interessanti. A marzo dell’anno scorso mi sono iscritta a un corso online di Arte Contemporanea istituito dal MOMA che mi ha permesso di conoscere numerosi artisti internazionali: credo che ne faccia ancora e mi sento di consigliarli a tutti. Un’altra piattaforma che mi sento di consigliare è Google Arts & Culture: permette non solo di visitare musei di tutto il mondo online, ma dispone anche di ricerche, di articoli e addirittura di giochi a tema arte veramente intriganti e stimolanti.

La nostra generazione molte volte si dimostra poco interessata all’arte contemporanea, secondo te perché in molti ne hanno una connotazione negativa? Mentre a te cosa piace di più dell’arte del nostro tempo?

Credo che le persone generalmente siano poco interessate all’arte contemporanea perché non è di immediata comprensione come potrebbe essere un ritratto o un paesaggio del Seicento. Spesso non è neanche esteticamente gradevole, visto che il canone estetico non è ormai da decenni un requisito richiesto per fare un’opera. Per essere apprezzata l’arte contemporanea ha bisogno di essere studiata, non basta semplicemente guardarla. Benché il requisito principale per capirla rimanga la curiosità, credo che le istituzioni culturali dovrebbero dare più strumenti alle persone per coinvolgerle di più: spesso noto che in alcuni musei di arte contemporanea non ci sono descrizioni o spiegazioni né dell’opere, né del contesto in cui sono state realizzate, né dell’autore: questo non fa altro che allontanare ulteriormente il pubblico.

Essendo amante dell’arte immagino che tu abbia viaggiato molto per vederla dal vivo, dunque ti chiedo qual è il museo o  più in generale, il luogo dove vorresti essere ora per ammirarne i manufatti conservati?

In questo momento vorrei essere a New York per perdermi tra le sale del MOMA e del Guggenheim! Restando però nel nostro paese, la prossima tappa (Covid permettendo) sarà Urbino, un piccolo gioiello nelle Marche pieno di storia e di bellezza! 

Parlando di Firenze cosa ti è rimasto più impresso?

Ho vissuto a Firenze fino a settembre come fuorisede: poi, vedendo che la situazione non stava migliorando e che avrei seguito tutte le lezioni del mio ultimo anno in DAD, ho dovuto lasciare il mio appartamento. Non posso dire altro se non che ci ho lasciato un pezzo di cuore. Firenze è una città incredibile, ovunque ti giri trovi un vicolo, un palazzo o un balcone interessante. È veramente impossibile per me trovare una sola cosa che mi è rimasta impressa, ce ne sono troppe. Se devo però scegliere un momento, un episodio che mi ha colpito nel profondo è stato salire sulla cupola del Brunelleschi al tramonto durante le vacanze di Natale e vedere il sole colorare di arancione tutta la città, mentre piano piano si accendevano tutte le luci. È stato magico, non credo che me lo dimenticherò mai.


Beatrice Carrara