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L’ammirazione verso la pittura ‘celestiale’ di un artista quale Sandro Botticelli è difficile da obliterare o soffocare. Più recentemente, la sua reputazione è stata al centro di vivaci discussioni culturali, ed il suo nome è risuonato nell’attesa impellente degli esiti dell’asta di Sotheby’s.
Ma facciamo un passo indietro con l’aiuto di uno dei massimi critici d’arte del nostro tempo: Jerry Saltz, classe 1951 il quale nasce a Chicago, dopo aver conseguito una formazione accademica, negli anni 90’ si trasferisce a New York per potersi dedicare all’arte da un punto di vista “teorico”.
Dal 2006 inizia a scrivere in veste di critico d’arte per la famigerata rivista americana New York, e ha diffuso numerosissimi beni culturali con la sua arguta e perspicace scrittura fino a colpire il cuore di molti americani, e non solo. Ricordo inoltre che nel 2018 si è aggiudicato il premio Pulitzer per un corpus di opere che inquadravano l’arte visiva Americana come mai prima.
Nel 2020 Jerry Saltz scrive un articolo pubblicato sulla testata New York ed intitolato This is the saddest picture i have ever seen (Questo è il dipinto più triste che abbia mai visto).
Si riferisce ad una tavoletta quattrocentesca, Il pianto di Mardocheo (Roma, Palazzo Pallavicini – Rospigliosi) attribuita variamente nel corso degli anni a Filippo Lippi, da altri a Sandro Botticelli, oppure ad una collaborazione fra i due fiorentini.
La tavoletta, era, assieme ad altre, tassello fondamentale di uno dei due cassoni con le Storie di Ester datate 1475.
Di seguito vi riporto delle righe che discutono dell’opera, il resoconto critico è stato trattato nel corso di storia della critica d’arte all’Università degli Studi di Firenze, e per mio conto direi essere lo scritto critico più bello che abbia mai letto:
“Il piccolo e quasi sconosciuto capolavoro quattrocentesco di Sandro Botticelli ci mostra un essere umano spogliato di ogni speranza. Il dipinto è un crogiolo metafisico pieno delle disgrazie del mondo esterno, di emozioni invisibili, di vergogna, del pianto delle cose ultime, di perdite cataclismiche, di silenzio, di viaggi finali, della cessazione della vita, di intensità demoniaca e della ritrazione del sé. Spesso chiamato, con aderenza perfetta, La Derelitta (ossia “The Desperate One” ) è il dipinto più triste che abbia mai visto, benché io non l’abbia mai visto dal vivo. Lo vidi per la prima volta quando avevo vent’anni. A forza di chiacchiere mi ero fatto assumere presso la School of the Art Institute of Chicago, dove proiettavo le diapositive nelle lezioni di storia dell’arte. Il pomeriggio in cui lo proiettai, rimasi stravolto.”
“Non c’è modo per entrare visivamente in questo quadro né per uscirne: non c’è spazio. È tutto muro, una sorta di brutalismo premoderno o di rigido minimalismo. Tutto è spoglio di ornamentazione, reso come in basso rilievo, irreale, onirico, sminuito ma concreto, realistico. Botticelli creò The Desperate One a Firenze mentre si avvicinava ad un momento di crisi nella propria vita.The Desperate One, dipinto in anticipazione profetica di tutto ciò… “
(Ovvero, le vicende fiorentine di Girolamo Savonarola: l’affermarsi della sua influenza, il declino, il supplizio.)
“ …ci fa intravvedere la desolazione interiore che Botticelli provava. Questo è un mondo bruciato, impoverito. La figura addolorata è piegata su sé stessa. Il suo volto è nascosto: sono visibili soltanto i fluenti capelli maschili. È scalzo come quei danzatori dionisiaci e quelle ninfe che Botticelli aveva dipinto in precedenza e di cui ora si disperava. (…) Tranne che per alcune visioni mistiche, Botticelli trascorse i suoi ultimi anni in un improduttivo esilio emotivo. Visse per vedere il suo stile quattrocentesco soppiantato dai tre grandi del Rinascimento: Michelangelo, Leonardo e Raffaello. Botticelli fu quasi dimenticato fino al XIX secolo, quando i preraffaelliti se ne riappropriano (…)”
“Mi soffermo su l’unico particolare del quadro, una piccola porta di legno a due ante sormontata da una struttura in ferro che chiude un atrio stretto e poco profondo. Questa porta è importante, lo so. Appena sopra di essa si scorge l’unica tregua visiva del quadro: una macchia di cielo blu. Mi struggo dalla voglia di sapere cosa c’è di là di quella porta, e mi balza in testa una strana domanda: La porta si aprirà mai?”
“Ora la vedo: alla porta manca qualcosa e questa assenza finalmente svela il segreto del quadro. L’ho sempre saputo ma non l’avevo mai notato prima: su quella porta non c’è né pomo, né maniglia, né chiavistello, né leva.”
“Anche se alcuni studiosi ritengono che il dipinto raffiguri Mardocheo del Libro di Ester, io vedo la figura come quella di Botticelli. Potrebbe stare all’Inferno, ma siccome non ci sono porte non ne ho la certezza. Suppongo piuttosto che stia fuori alle porte chiuse del Paradiso. La porta che gli sta davanti può essere aperta soltanto dall’interno, da San Pietro, che ci pesa i peccati, le azioni, la vita. Le credenze e le azioni di Botticelli lo hanno condannato, e lui lo sa. Non è l’Inferno questo. È un purgatorio terribile di dolore consapevole. Questo piccolo quadro emette un grido incessante.”
“Non il detto di Sartre, con quel suo sorrisetto da esistenzialista, “L’inferno sono gli altri”; ma piuttosto qualcosa che sento ogni giorno sempre di più da chi sta uscendo dal proprio isolamento: L’inferno è la mancanza degli altri.”
Scritto che sottolinea anche la forza evocativa e in alcuni casi logorante delle opere di Botticelli, sentimenti molte volte celati dietro ad una bellezza trascendente, definita dagli storici dell’arte ‘ botticelliana ‘.
Questo è il caso del L‘Uomo dei Dolori di Sandro Botticelli, è una delle opere su cui si sono rivolti i proiettori dei giornali e le aspettative degli studiosi nell’ultima asta di Sotheby’s di New York ,svoltasi lo scorso 27 gennaio.
E’ una raffigurazione essenziale e drammatica che ritrae Cristo su sfondo nero circondato da angeli, questi ultimi sono privati dei colori celestiali tipici della gioia botticelliana, al contrario sono resi grigi come la pietra con cui è stato lapidato il loro Signore, e tengono i segni della Passione. Le mani del salvatore sono legate da corde, altrettanti simboli della Passione, e la Corona di spine che cinge la testa di Dio. Il volto è privo di dolore seppur questo sia trasmesso dal solo sguardo languido e profondo che tiene l’osservatore in balia di cordoglio taciuto.
Botticelli lo dipinse quando aveva oltre cinquanta anni e fu una delle ultime opere da lui concepite, ecco che è stato definito da Sotheby’s “un capolavoro assoluto degli ultimi anni di Botticelli”
La storia del quadro ha inizio nell’Ottocento quando era di proprietà di Adelaide Kemble Sartoris, famosa cantante lirica britannica. In seguito, ereditato dalla pronipote Lady Cuninghame che lo vendette all’asta nel 1963, acquistato da una collezione privata fu visibile al grande pubblico solo nel 2009, anno in cui fu esposto come una delle ‘rare gemme’ di una retrospettiva dedicata a Botticelli dallo Städel Museum di Francoforte.
L’attenzione sul dipinto si è accentuata ulteriormente dalla scoperta dell’immagine di una Madonna con Bambino celata sotto lo strato di colore brillante. Conclusione a cui si è giunti in seguito ad un’analisi a raggi infrarossi condotta su l’Uomo dei Dolori di Sandro Botticelli, conquista che la rende ancora più interessante e affascinante. Si tratta di una pratica consueta delle botteghe rinascimentali, perché il supporto è una tavola di pioppo, materiale raro e pregiato al tempo, dunque anche nel caso di un dipinto incompiuto, in questo caso la versione della Madonna col Bambino, non si sarebbe scelto di buttare via la tavola. La scelta migliore era conservare il supporto pregiato e ricominciare da capo, con un nuovo strato di colore.
Interessante che l’iconografia sia’ quella della “Madonna della Tenerezza”, elemento che attesta lo sguardo del pittore rivolto alle icone greco-bizantine, raffigurazione che convenzionalmente vuole la Vergine tenere la testa di Gesù bambino, guancia a guancia contro la sua.
Alcuni studiosi ritengono che il pittore abbia adottato uno stile intriso di simbolismo e spiritualità cristiana, essendo stato dipinto nel periodo in cui l’artista era sotto la sfera di influenza di Girolamo Savonarola, il celebre frate domenicano i cui scritti si diffusero enormemente nella città del Rinascimento. Se ne deduce che il dipinto ne diverrebbe riflesso delle teorie e del fervore religioso che alimentava gli animi dei fiorentini alla fine del 400 inizio 500. Era un clima di predizioni apocalittiche, scatenatesi dopo la cacciata dei Medici, e le speranze di salvezza personale avevano raggiunto livelli di particolare intensità.
Ma come afferma Chris Apostle, responsabile dei dipinti rinascimentali e barocchi di Sotheby’s : “Quello che trovo commovente è che Cristo è un po’ fuori centro. Botticelli ha inclinato leggermente la testa” accorgimento che secondo l’esperto dona al dipinto una carica emotiva e umana.
“È un dipinto metafisico di una persona matura che affronta la propria mortalità, ed è questo che lo rende così commovente: man mano che qualcuno invecchia, diventa più introspettivo, più metafisico, più spirituale. E penso che si veda molto profondamente in questa immagine”.
Il grande entusiasmo che ha condotto il dipinto fino al giorno dell’asta si è spento in una risentita ‘delusione’ provata da molti, perché l’opera è stata battuta per una cifra poco superiore alla base d’asta. Infatti, dai 40 milioni di partenza l’opera è stata venduta alla cifra di 45,4 milioni di dollari. Questa insoddisfazione trova ragione alla luce dell’ultima vendita del dipinto di Botticelli Giovane uomo con in mano una medaglia che poco più di un anno fa era stato venduto, sempre dell’asta di Sotheby’s, per la cifra di 92,2 milioni di dollari. Cifra record per il maestro rinascimentale.
Ad alleviare questa insoddisfazione vi è una buona notizia: L’Uomo dei Dolori prenderà parte alla grande mostra retrospettiva dedicata a Sandro Botticelli presso Minneapolis, assieme ad altre opere della nostra amata Galleria degli Uffizi.
Beatrice Carrara