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In vista delle elezioni universitarie che si terranno a maggio e che vedono numerosi schieramenti politici afferenti a tradizioni di cultura politica differente, ho ritenuto potesse sembrare interessante analizzare le classificazioni fatte da vari scienziati politici, tra cui Giovanni Sartori, già docente all’Unifi, sulle varie tipologie di partiti politici e di sistemi politici.
I partiti per Max Weber
Il sociologo e politologo tedesco M. Weber ha proposto per primo un’analisi sull’evoluzione dei partiti nel tempo, ancora oggi valida e che ci permette di capirne le strutture e le origini storiche. Approfondire questa prima classificazione ci permetterà di comprendere meglio quelle successive dato che si rifanno, almeno in parte, ad essa. Questo studio si fonda su una distinzione tra due tipi di partito e la loro struttura: il partito di notabili e il partito di massa.
Il partito di notabili è il tipico partito del XIX secolo, il primo periodo storico che vide la presenza dei partiti politici, grazie alle prime elezioni moderne che avvennero in tutta Europa. Questo partito quindi è la prima vera forma politico-partitica contemporanea. Gli uomini che compongono questo partito, il personale di partito, sono i notabili, ovvero coloro che in virtù della propria condizione economica possono impegnarsi a tempo pieno e a proprie spese nel creare e nel dirigere un partito. Questi essendo dotati di risorse autonome non svolgono la politica come professione, e non percepiscono quindi nessuna indennità (stipendio) se eletti in Parlamento. Sono infatti partiti composti da nobili, proprietari terrieri, grandi borghesi o avvocati, medici, notai particolarmente benestanti.
La politica non viene vista come una professione ma come possibilità di tutela dei propri interessi economici, ciò che noi oggi definiremmo lobbying. La loro attività è saltuaria e legata alle campagne elettorali, durante le quali si formano comitati elettorali che poi scompaiono a elezioni concluse. Elezioni assolutamente ristrette perché vedono pochi candidati sfidanti e poche persone con diritto di voto (ad esempio, in Italia fino al 1882 potevano votare solo il 2% dei soli cittadini maschi; alle donne rimase interdetto fino al 1946).
Il notabile non era eletto per le proprie idee ma per la dimensione clientelare che era riuscito a creare sul territorio, e per la propria deferenza, ovvero per la classe sociale a cui apparteneva, elementi visti come una garanzia da parte degli elettori: se un candidato era un proprietario terriero toscano veniva votato non tanto per le proprie idee ma perché rappresentante di quella classe (latifondisti) e di quel territorio (Toscana).
Il partito di massa è invece la forma partitica tipica del Novecento. Weber la osserva poco perché morirà nel 1920, tuttavia riesce a coglierne plasticamente struttura e organizzazione. Questa forma di partito si dota di politici di professione come personale, i quali vivono di e per la politica, appartenenti a tutte le classi sociali e votati per la loro ideologia. Chi viene eletto, in questo caso, percepirà uno stipendio e tenderà a fare gli interessi di chi lo ha votato e non della categoria economica che esprime. Il politico è quindi un delegato del popolo, almeno in teoria.
Il partito di massa inoltre si struttura su tutto il territorio in maniera permanente, rimanendo attivo anche in momenti privi di elezioni. Con i progressivi allargamenti di suffragio elettorale, arrivando infine quello universale, il partito di massa ha sostituito il partito di notabili, incapace nella struttura di poter parlare a tutto il popolo.
Le strutture organizzative dei partiti
Maurice Duverger, politologo francese, approfondisce l’analisi condotta da Weber attualizzandola. Nel suo studio suddivide i partiti in quattro categorie sulla base dell’ideologia, delle risorse e del tipo di struttura: il partito liberale, il partito socialista, il partito comunista e il partito fascista. Il partito liberale (dei notabili per Weber) si organizza in comitati elettorali formati da un piccolo nucleo di persone, circa 10 o 15, appartenenti a classi sociali elevate.
Vi si aderisce per cooptazione all’interno di circoli borghesi classici. La struttura di cui si dotano è informale, che tende quindi a dileguarsi a elezioni finite. La loro principale risorsa da spendere in campagna elettorale è il prestigio sociale dei notabili. Il partito socialista invece si dota di sezioni composte dalle masse popolari. L’adesione in questo caso è formale, prevede dunque un tesseramento.
La struttura è burocratica, e tende quindi a radicarsi a livello territoriale con regole precise e complesse. La loro principale risorsa è l’attivismo dei militanti. Per queste caratteristiche è stato definito un partito burocratico di massa. Il partito comunista possiede varie cellule che generalmente si sviluppano nelle fabbriche (luogo di adesione privilegiato). Queste sono composte da circa 30 membri e prevedono un inquadramento permanente all’interno del partito, ovvero che accompagna il membro per tutta la sua vita, “dalla culla alla tomba” (definito per questo partito di integrazione).
La sua struttura, sempre secondo Duverger, è totalizzante. La principale risorsa è la partecipazione comunitaria dei membri. Il partito fascista si radica sul territorio attraverso milizie ovvero piccoli gruppi di persone reclutati su base militare. Si fonda su principi di gerarchia e fedeltà.
I sistemi politici secondo Sartori
Giovanni Sartori, uno degli scienziati politici più conosciuti e brillanti sul panorama italiano ed internazionale, nonché professore di lunga data alla “Cesare Alfieri” di Firenze, alla luce delle definizioni precedenti (Weber, Duverger) elabora varie tipologie di sistemi politici. Per sistema politico si intende il contesto nel quale uno o più partiti operano. Un sistema politico può essere monopartitico o multipartitico e può essere caratterizzato da un’elevata polarizzazione ideologica (estremismo) o da moderazione.
I regimi monopartitici sono di tre tipologie: a partito singolo, dove un solo partito è legale; a partito egemonico, quando esistono più partiti ma satelliti del più grande; e infine a partito predominante, dove sono presenti più partiti legali e in competizione tra loro senza riuscire però per lungo tempo a spodestare quello al comando.
Nei regimi multipartitici rientrano invece i bipartitismi: solo due partiti hanno le capacità di conquistare la maggioranza dei seggi. La competizione è verso il centro dove si trovano gli elettori più indecisi. Questo è il modello tipico dei paesi anglosassoni (partito conservatore vs. partito progressista/laburista) e che predilige una moderazione ideologica. Sempre in questa categoria rientrano i sistemi multipartitici moderati: con 5 partiti forti che vedono moderazione ideologica e governi di coalizione. Tutti i partiti sono orientati ad andare al governo.
Il multipartitismo segmentato è semplicemente il multipartitismo moderato con più di cinque partiti rilevanti. Può esistere invece il multipartitismo polarizzato anche detto pluralismo polarizzato. Questo vede la presenza di 5 o più partiti tra cui partiti antisistema spesso inconciliabili tra loro e addirittura con il sistema democratico stesso (opposizioni bilaterali). In questo sistema generalmente governa sempre una coalizione di partiti moderati per un senso di responsabilità democratica rispetto alla presenza di opposizioni irresponsabili.
Quest’ultimo è il caso tipico dell’Italia della Prima Repubblica, che vedeva una convergenza di partiti al centro, i quali governavano ininterrottamente (Democrazia Cristiana e centristi), e all’opposizione Movimento Sociale Italiano (eredi del fascismo) e Partito Comunista Italiano, i due partiti antisistema rispettivamente di destra e sinistra più forti dell’Europa Occidentale del secondo Novecento.
Andrea Manetti