Il calcio fiorentino: perché parlarne a febbraio?

Tempo di lettura: 8 minuti.

Una delle motivazioni per le quali è particolarmente stimolante affrontare il percorso universitario a Firenze è legata al fatto che spesso ci si ritrova a tu per tu con ciò che si studia, si possono percepire al 100% tanti aspetti spiegati durante le lezioni; student* di lettere possono passare per le stesse vie percorse da Dante, così come student* di storia dell’arte possono godersi ogni giorno le meraviglie studiate in aula. Questo accade anche per coloro che affrontano un corso di antropologia culturale, disciplina quanto mai vasta, che nell’anno accademico 2020/2021 è stato condotto dal professor Nardini, specializzato in antropologia dello sport.

Vista sul lato più vicino alla chiesa con gli spalti per i numerosi tifosi
Fonte: florence on the line

Branca dell’antropologia culturale relativamente giovane (rispetto alle altre), dagli ultimi decenni del secolo scorso inizia a farsi spazio in un panorama che come sappiamo bene ha visto lo sport prendere sempre più importanza a livello collettivo, senza essere dunque considerata un’attività elitaria come un tempo, ma che crea e subisce fenomeni non trascurabili su diversi livelli, basti pensare all’ampio seguito che ha oggi il calcio, ma anche il tennis, o il basket. Queste attività, con le loro numerose sorelle, possono essere buone per pensare in quanto offrono una lente su loro stesse e su tutto l’ambiente che intorno vi si crea, ambiente che diventa così portatore e veicolo di significato, di cultura: questi sono solo alcuni dei prerequisiti che devono sussistere per far sì che certe attività possano entrare a far parte di quelle tutelate dall’UNESCO, che dal 2003 tutela i beni culturali intangibili, ossia tutte quelle attività (danze, giochi, aspetti linguistici, tradizioni artigianali…) che hanno un significato rilevante e che concorre a creare senso di identità per le comunità in cui queste attività si realizzano.

I calcianti che si sfidano: rossi contro verdi
Fonte: Cultura comune

Questa definizione, seppur superficiale, porta con sé dei potenziali problemi che non possono essere affrontati in questa sede, ciononostante è importante rilevarne almeno uno, per provare a meglio comprendere la complessità stante dietro questo tipo di dinamiche: si parla quanto mai spesso di concetti quali la “collettività”, la “società”, ma davvero esiste una sola società? Una sola collettività? In un panorama eterogeneo come quello fiorentino (e sfido a trovare un panorama non eterogeneo, oggi) non è così semplice e “matematico” avere una società che si trovi d’accordo su un dato tema, aspetto che però è fondante ai fini della candidatura di un determinato bene (sia esso intangibile o tangibile) nella lista dei beni UNESCO. La storia del riconoscimento del calcio storico fiorentino è dunque una storia che si lega alle disposizioni date dall’UNESCO e dalla Convenzione di Faro, aspetti che comunque viaggiano sui binari “nuovi” dell’intangibilità, ancora privi di una prassi consolidata dal tempo, con tutte le difficoltà del caso, storia che si lega inoltre sul senso di appartenenza a un dato quartiere storico, alla città fiorentina e al senso di profonda capacità ironica stante dietro all’immaginario del “fiorentino”. Ma perché?

Il calcio fiorentino è una realtà poliedrica che è stata in grado di rimanere cifra caratteristica di una società che, da sempre, è molto attenta a rivendicare il senso di appartenenza alla città: quella fiorentina. Per lungo tempo gli abitanti dei quartieri storici di Firenze -Santa Croce, San Lorenzo, Santo Spirito, Santa Maria Novella- si sono ritrovati, in diversi momenti dell’anno, a rincorrere la vittoria del calcio fiorentino attraverso le cacce in Piazza Santa Croce, al cospetto della chiesa. 

Si deve notare che il calcio fiorentino appartiene a quella sfera di pratiche tradizionali che nell’immaginario collettivo ha assunto una dignità anche in ragione del tempo e della risalenza nei secoli: ma è davvero una pratica così antica?

Si trovano notizie della pratica del calcio fiorentino già nel XVI secolo, come attività svolta inizialmente dalle parti subalterne; durante il XVI secolo si assiste a una sorta di elevazione del gioco, che arriva a essere praticata dai figli dei signorotti fiorentini che potevano così fare pratica per le attività militari, e mettevano in scena le partite in momenti importanti come per le visite di alleati, per i matrimoni dell’alta società, dunque per festeggiare momenti di coesione sociale e per celebrare il potere. Perché parlarne a febbraio? 

Ne parliamo a febbraio perché è proprio una partita giocata in questo mese, nel lontano 1530, che costituisce il modello per le partite poste in essere ancora oggi: nel 1530 fu giocata infatti una partita, passata alla storia come la partita dell’assedio, nel febbraio che vedeva le mura fiorentine assediate da Carlo V. Questo contesto diventò per gli abitanti un’occasione per dimostrare che lo spirito fiorentino, quello sarcastico, divertente e giocoso, non poteva soccombere; nonostante la sconfitta militare, i fiorentini avevano ancora qualcosa da dimostrare. Così, il 17 febbraio, sotto lo sguardo incredulo delle truppe di Carlo V (che vedevano la piazza di Santa Croce dalle colline circostanti dove si trovavano ormai prossimi a concludere l’assedio) si svolse la partita dell’assedio, che si sarebbe svolta come d’uso all’epoca, in occasione del carnevale. 

L’evento che oggi si rievoca è dunque un evento di scherno verso un nemico che sì, sta per vincere, ma che non vincerà in tutto, perché lo spirito ironico e sbeffeggiatore fiorentino non si piega. Questo è il vero soggetto della rievocazione che, grazie all’apporto dato dal celebre Corteo Storico fiorentino, trova espressione ogni anno. 

Il campo di sabbia visto dal lato della Chiesa di Santa Croce
Fonte: visit-italy

Dopo questa partita del 1530 si continuò a giocare ma, curiosamente, ci sono sempre meno fonti che testimoniano il proseguimento della pratica; in questo senso assume valore la riscoperta del gioco da parte di Pietro Gori, che nel 1898 inizia una ricerca a tratti filologica atta a ritrovare questo gioco che, dall’arrivo dei Lorena in città, scomparve gradualmente dalla memoria cittadina. I frutti della ricerca da lui effettuata portano, nel 1902, a una prima rievocazione storica del gioco e dei costumi tradizionali: di grande impatto a livello sociale e collettivo, questo evento (ripetutosi nello stesso anno), non venne istituzionalizzato come pratica annuale. Alla sua istituzionalizzazione pensò Pavolini una ventina di anni dopo (sounds familiar?), che con un gruppo nutrito di persone, creò un comitato per la ricostruzione del gioco fiorentino: il fascismo, come ben sappiamo, era solito andare a recuperare aspetti rimasti impolverati nel passato storico di una città per riesumarli, modificarli e piegarli per ottenere aderenza e forza per la propaganda, nella “prassi della dittatura”. Questo è avvenuto: per volere di questo comitato iniziarono ricerche ancora più profonde di quelle portate avanti da Gianluca Gori, che portarono anche a un’analisi capillare degli affreschi del Salone dei ‘500 a Palazzo della Signoria atti a ricostruire nel modo più verosimile l’evento, i costumi, l’atmosfera. Il fascismo fu dunque un momento in cui il calcio fiorentino vide una strumentalizzazione che lo portò ad assumere anche il nome “storico”, proprio per evidenziare la sua natura rievocativa: la prima partita si tenne nel 1930, a 400 anni dalla morte di Francesco Ferrucci. Non a caso, nel 1926 nasceva l’AC Fiorentina, perciò si stava creando una dimensione sportiva peculiare della città, cui gli abitanti potevano fare riferimento per costruire e tessere il senso di appartenenza. Il calcio storico subì un’interruzione per la guerra, ma venne reintrodotto nel ‘47 in un contesto politico stravolto, ma se ne mantenne la stessa narrazione. In una Firenze distrutta, il calcio storico venne reintrodotto dall’amministrazione locale che possedeva segno politico inverso, ma che decise comunque di re introdurlo grazie alla presa che aveva avuto sulla cittadinanza. C’erano motivazioni radicate nelle logiche sociali del periodo: la riscoperta delle tradizioni, il turismo che si avviava ad assumere il suo ruolo fondamentale… l’amministrazione del dopoguerra spinse per reintrodurla anche per le possibilità che portava di rinascita e spinta economica per la città. Si fece pressione facendo leva sulla stessa narrazione della partita dell’assedio, ma assumendo un’accezione radicalmente diversa: questo è importante perché pone in luce come sia possibile dare allo stesso racconto significati diversi, anche opposti.

Oggi il calcio fiorentino si celebra con  il Torneo di San Giovanni, a giugno, con la finale il 24, giorno in cui si rende omaggio al santo patrono di Firenze. I 4 quartieri storici si sfidano in un gioco di palla in cui lo scopo è piazzare la palla in una rete per fare punteggio: per perseguire tale obiettivo sono usate tecniche di lotta e pugilato. Ogni partita è introdotta da una sfilata del corteo storico che termina in piazza Santa Croce, composto da ben 530 partecipanti i cui costumi sono stati riconosciuti per la loro raffinatezza artigianale. Attualmente, se il corteo è rimasto lo stesso sia nel percorso che nei personaggi, il gioco si è evoluto in funzione del contesto sportivo. Inizialmente c’erano atleti di diversa estrazione sociale a partecipare, e venivano estremizzati gli aspetti più violenti di ogni pratica sportiva praticata all’esterno. Oggi, i facenti parte sono atleti professionisti, e oltre al loro sport di riferimento praticano anche il calcio fiorentino: questo ha scremato la possibilità di accedere al gioco, perché il livello atletico si è alzato di molto. Si è alzata anche la violenza del gioco, considerando che si tratta di atleti tecnicamente a livelli altissimi che si interfacciano inoltre a livelli di mediatizzazione molto grandi, essendo stati oggetto di documentari per canali internazionali; Netflix ha prodotto un documentario. 

Questa scenografia si crea nel centro storico di Firenze, che è l’essenza della storia gloriosa che il calcio storico si incarica di rievocare. Questo perché il centro storico di Firenze è la rappresentazione emblematica del Rinascimento italiano (periodo storico che rimane comunque fuori dalla rievocazione del calcio); è diventato patrimonio UNESCO nel 1982, e oggi torna a essere centro d’interesse per le nuove declinazioni del patrimonio, ossia quelle intangibili. 

I costumi sono stati riconosciuti come portatori di valore artigianale e artistico, e la Soprintendenza aveva avviato il procedimento per la salvaguardia dei beni secondo il concetto classico di patrimonio, legato al valore artistico e materiale degli oggetti. A tal punto è intervenuto il Ministero per avviare un progetto che riguarda aspetti più immateriali circa il corteo e la manifestazione del calcio storico. Il progetto di salvaguardia verte sulle linee guida dell’UNESCO e della Convenzione quadro di Faro, e si pone come obiettivo la salvaguardia e il riconoscimento del valore del palio di Siena e del calcio storico, con il loro grande impatto sulla/sulle collettività dei luoghi in cui si svolgono.

Daria Passaponti

 

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...