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Il 7 luglio del 1887 nasce a Vitebsk, in Bielorussia, Marc Chagall.
In gioventù vive nelle zone più povere della città, la madre gestisce una bottega di alimentari e il padre commercia aringhe. È stata la sua dedizione alla pittura che lo ha portato alla fama e alla notorietà in eterno.
Nel 1911 si trasferisce a Parigi, nel quartiere di Montparnasse, che gli apre le porte dell’amicizia di molti intellettuali, scrittori, e poeti come Apollinaire grazie al quale incontra il mercante d’arte Herwarth Walden. Quest’ultimo affascinato dalle sue opere ne darà molta visibilità nella Parigi degli anni ‘10, procurandogli un guadagno sia materiale che emotivo.
Del rapporto tra Chagall e Apollinaire abbiamo una traccia scritta nel diario dell’artista: “Non oso mostrare i miei quadri ad Apollinaire. Lo so voi siete l’ispiratore del cubismo. Ma io preferisco qualcos’altro. Che altro? Sono confuso […] Un pianerottolo rotondo; una decina di porte numerate. Apre la mia. Apollinaire entra con prudenza […]. Personalmente non credo che la tendenza scientifica sia una cosa buona per l’arte. Impressionismo e cubismo mi sono estranei […] Apollinaire si siede. Arrossisce, inspira, sorride e mormora “Soprannaturale”
Nel frattempo, è scoppiata la guerra, e Chagall riesce a scampare dall’orrore delle trincee con un incarico d’ufficio al Ministero della Guerra. Nonostante il periodo turbolento espone comunque le sue creazioni, e ne concepisce di nuove grazie alle prime grandi commissioni che lo riguardano: per il mercante Ambroise Vollard disegna le illustrazioni della Anime morte di Gogol e le Favole di La Fontaine. Avranno molto successo le raffigurazioni testuali di Chagall, fresche, luminose e oniriche, un prestigio che lo porta ad ideare le illustrazioni per un’edizione della Bibbia, pubblicata nel 1930.
Marc Chagall è stato un grande viaggiatore, giunse nella maggior parte dei paesi Europei, richiamato dalle numerose commissioni, oltre che dal piacere personale di viaggiare e di farsi emozionare, ma si rivelò anche un insaziabile amatore.
Ha avuto tre mogli nella sua vita, tutte molto amate e coccolate dall’artista. La donna più celebre nella sua vita così come nella sua pittura è Bella Rosenfeld che conobbe appena ventenne e con cui si fidanzò nel 1909, poco prima di partire per Parigi, città in cui Bella giungerà solo nel 1923 assieme alla figlia Ida. La morte dell’amata moglie, sopraggiunta a causa di una malattia improvvisa nel 1944, lasciò l’artista nella totale disperazione.
Commoventi, intime e travolgenti si rivelano le parole di Bella scritte nel suo diario
: “Tu, ti getti sulla tela, che trema fra le tue mani, afferri il pennello, premi il colore dei tubetti:
rosso, azzurro, bianco e nero. E mi trascini nel torrente dei colori. Improvvisamente mi sollevi dal suolo e tu stesso ti dai lo slancio con un piede come se la piccola stanza fosse troppo angusta per te. Tu balzi su, ti stendi in tutta la tua lunghezza e voli verso il soffitto. Ti pieghi al mio orecchio e mi mormori qualcosa …. e tutti e due insieme voliamo leggeri… e voliamo via tenendoci per mano… giungiamo alla finestra e vogliamo passare fuori. Dalla finestra ci chiamano una nuvola ariosa e un pezzo di cielo azzurro. Le pareti, addobbate con i miei scialli variopinti, ondeggiano intorno a noi e fanno girare la testa. Noi voliamo sui campi variopinti, e case di legno con le persiane chiuse, su campagne e chiese…”
Fra le tante opere che Chagall ha dedicato alla sua prima moglie, rendendola perpetua nei secoli, Compleanno è una delle più poetiche, e risale ai primi anni di matrimonio. Il titolo fa presumere che il dipinto risalga al genetliaco di Bella, che era nata a Vitebsk il 15 novembre 1895. Si dice che il pittore abbia considerato il matrimonio con Bella come un’emancipazione dalla solitudine, vedeva il rapporto coniugale come una benedizione e mai come una prigione.
Questo puro sentimento è quello che l’artista rimarca nei dipinti che presentano la donna, dunque la sua immensa felicità quando è con lei. Infatti, vediamo come i due innamorati dominano la scena e ne diventano perno visivo. Chagall nel baciare Bella inizia a fluttuare e nel tentare di rendere l’atto d’amore più duraturo si contorce in una posa del tutto innaturale, quasi ad affermare che la forza dell’amore supera ogni legge naturale/ fisica. Da questa forza sentimentale viene condizionata anche Bella, la quale dimentica tutto e viene immersa nell’atmosfera fiabesca creata dal marito col pennello.
COMPLEANNO 1915: olio su cartone. New York, MoMa- Museum of Modern Art
Con l’avvento del nazismo la situazione si complica, le sue opere vengono esposte nel 1937 presso la mostra di Arte Degenerata promossa dal regime nazista, secondo cui le opere degli artisti esposti erano frutto di una mente malandata che determinava la distorsione della realtà sulla tela. Nonostante questo durante la seconda guerra mondiale Chagall riesce a sfuggire alle leggi antisemite sbarcando a New York.
Alla fine della guerra Chagall perde Bella (morta nel ‘44) ma non la necessità viscerale di creare. Ritorna sul palcoscenico con i costumi che disegna per il balletto l’Uccello di fuoco sulla musica di Stravinskij, tenuto dal Ballet Theatre al Metropolitan Opera.
Dalla fine della guerra fino alla sua morte avvenuta il 28 marzo del 1985 nel suo studio a Saint Paul-de Vence, le istituzioni di maggior spicco culturale celebrano il suo creato. A partire dal Museum of Modern Art di New York, che nel 1946 gli dedica una retrospettiva con le opere di oltre quarant’anni di attività.
Ci ha lasciato un corpus di opere che inducono a far sognare, dal più piccolo, all’uomo più maturo, cattura la nostra essenza nell’immensità del trascorrere evocato dalle pennellate. Colori che fanno lievitare la nostra immaginazione conducendoci oltre la tela, oltre la stanza in cui si trova il dipinto, portandoci a volare nel cielo con lui. Con le sue opere fa credere all’umanità che tutto è possibile, anche sopravvivere nell’eternità.
André Breton nel saggio La metafora in pittura del 1941 afferma:
“Non c’è stato niente di più risolutamente magico delle sue opere, in cui gli stupendi colori fondamentali portano in sé e trasfigurano il tormento moderno, pur conservando l’antica ingenuità nel raffigurare ciò che la natura proclama il principio del piacere: i fiori e l’espressione dell’amore”.
LE FAVOLE DI LA FONTAINE
Marc Chagall oltre ad essere determinante nella storia della pittura è una figura da rimembrare anche per le sue superbe illustrazioni, di cui purtroppo si parla troppo poco. In quest’ottica si rivelano fondamentali le illustrazioni ideate per le Favole di La Fontaine, maestro delle favole moderne, la cui arguzia nello scrivere trova un connubio perfetto, tre secoli dopo, con il tocco onirico del pennello di Chagall.
Felice e avventuroso dialogo in cui il mondo popolato da animali e oggetti vocianti, che incarnano vizi e virtù esplicitamente umani, si tinge di una vena sognante che cattura i lettori di ogni età. Ecco che ad ogni pagina corrisponde un trionfo di freschezza e vivacità dettato dal sapiente uso del colore dell’artista.
Quando Ambroise Vollard, grande gallerista ed editore-mecenate del ‘900, diede il compito a Marc Chagall di disegnare cento gouaches per illustrare le Favole, la critica del tempo non esitò a manifestare le sue forti perplessità.
Nelle intenzioni di Vollard l’idea di affidare alla mano di Chagall un nuovo ciclo di illustrazioni dell’opera testuale rappresenta una provocazione, lucida e consapevole alle illustrazioni concepite fino ad allora delle Fables. In un articolo del 1929 Vollard dichiara che è giunto il momento di dare: “un’interpretazione meno letterale, meno frammentaria dell’opera di La Fontaine: qualcosa che sia insieme più espressivo e più sintetico. Una simile trascrizione non può che essere affidata a un pittore di temperamento, dotata di immaginazione creativa, e fertile nell’invenzione dei colori”
Ecco il perché la scelta cade su Chagall, di religione ebraica, Russo aperto alla radicale modernità, capace di tradurre in un debutto di colori la vicenda delle favole, e condurle al limite del sogno. Pare naturale che la critica di allora, tradizionalista, nazionalista, xenofoba e anti-ebraica si scagliò contro questo lavoro. Nonostante questo le cento gouaches di Chagall disegnate fra gli anni del 1926 e 1927 fanno la loro veloce comparsa in pubblico nel 1930. Furono esposte in 3 rispettive mostre, a Parigi, Bruxelles e a Berlino per essere immediatamente vendute a collezionisti privati. Nel frattempo, l’idea originale di stampare un’edizione delle gouaches viene interrotta a causa di una deludente riuscita delle prove a colori. Negli anni successivi l’opera di Chagall è stata oscurata alla vista del pubblico. Solo nel 1995, Didier Schulmann decise di organizzare una mostra dedicata al tema, sotto l’egida della Réunion des Musées Nationaux, nella quale esporre il maggior numero possibile delle cento gouaches di Marc Chagall ideate sull’opera di La Fontaine. Negli anni si è verificata una dispersione delle opere originali, in tutto 30 delle 100 gouaches non si è potuto sapere più nulla, a partire dal momento in cui furono vendute all’esposizione di Berlino del 1930. Vi propongo un piccolo soffio rispetto al grande respiro che l’opera conclusiva e originale doveva prevedere nel dialogo fra la scrittura di La Fontaine e la pittura di Marc Chagall.
L’UOMO E LA SUA IMMAGINE
Un uomo innamorato di sé stesso
era convinto che nel mondo intero,
in tutto l’universo,
nessuno fosse bello come lui.
E se vedeva il viso suo riflesso
dentro uno specchio, trovandolo diverso
da quello che credeva, si arrabbiava
con l’innocente oggetto, e lo accusava
di non essere affatto veritiero.
Per sua disgrazia,
di specchi, consiglieri di ogni grazia,
ce n’erano dovunque: nei salotti
in tutte le dimore,
nelle borsette di tutte le signore,
persino in tasca a tanti giovanotti,
e ogni specchio rifletteva il vero.
Allora, cosa fa il nostro Narciso?
Abbandona l’umana società,
Si rifugia in un angolo remoto,
dove non ci sia specchio che rifletta
l’ingrata verità.
E anche qui, cosa trova?
Un lago calmo, limpido e tranquillo,
che gli ributta in faccia la realtà.
Lui si infuria, vorrebbe allontanarsi,
ma il lago è così bello
che l’uomo non riesce a distaccarsi.
Avrete già capito
dove voglio arrivare.
Lo strano male
di cui soffriva quel Narciso affligge
tutta l’umanità, senza eccezione.
L’anima nostra, come quel Narciso,
vede in sé stessa ogni perfezione.
I vizi altrui, che abbiamo sotto gli occhi,
sono soltanto specchi
dei vizi nostri che non vogliam vedere.
Quanto allo specchio d’acqua che riflette
inesorabilmente la realtà
di una difettosa umanità,
quel lago è il vostro libro, signor Duca.
Beatrice Carrara