ANTONIA DONI E LE ARTISTE DIMENTICATE DALLA STORIA DELL’ARTE

Tempo di lettura: 9 minuti.

Qual è la tua pittrice preferita? Forse stai avendo delle difficoltà e non ti viene in mente nemmeno un nome. Non hai tutti i torti effettivamente… la nostra memoria è affollata di così tanti nomi maschili che sembra non esserci spazio per l’altra metà del genere umano: le donne. E le poche di cui ricordiamo il nome spesso sono note più per la loro biografia tragica o per il loro aspetto fisico piuttosto che per i loro lavori artistici. 

La critica dell’arte stessa, disciplina che dalla fine dell’800 fino agli anni 70 del Novecento ha ignorato, espulso e persino cancellato le testimonianze sulle artiste e sulla loro presenza ottocentesca e novecentesca, facendo calare il sipario anche sui secoli precedenti. La grande cancellazione delle artiste è avvenuta all’inizio del 900 e le ragioni di questa relegazione all’oblio sono da ricercare nella modernità.

Firenze è la culla del rinascimento, questo lo sappiamo bene: libri e musei sono pieni delle opere d’arte che la nostra città ospita e che ha visto dare alla luce ma… solo di uomini!

E invece di pittrici ed artiste ce ne sono eccome. La protagonista di oggi è Antonia Doni

Ma prima, facciamo il quadro della situazione.

Il contesto storico: la donna come parte attiva nel mondo dell’arte

http://www.enteboccaccio.it/s/casa-boccaccio/item/5387
Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Fr. 12420, f. 36r. La sibilla Amaltea sfoglia un libro seduta ad un leggio.

Abbiamo già notizie delle prime pittrici greche e romane come Timarete, Kaliypso, Iaia e Eirene. Nel Medioevo invece, gli artisti, sia uomini che donne, raramente erano menzionati personalmente. Erano considerati degli artigiani e sporadicamente firmavano le loro opere. I manoscritti del “De mulieribus claris”, un testo di Giovanni Boccaccio composto nel 1361-62 che descrive le vite di 106 donne dell’Antichità e del Medioevo attraverso i loro vizi e virtù, erano decorati con preziose miniature raffiguranti donne intente a scolpire, cucire, dipingere, scrivere ecc. Le miniature reinterpretano in chiave medievale la figura della donna testimoniando così l’attività artistica femminile del periodo.

Nel Rinascimento, per primi in Italia e nelle Fiandre, i pittori iniziarono ad essere riconosciuti come veri e propri artisti. Ed è in questo periodo che anche le donne cominciarono, a fatica, ad essere riconosciute come tali; sebbene non sappiamo effettivamente quante fossero perché le condizioni erano loro decisamente avverse, ed inoltre il genere femminile è stato dimenticato dalla critica per troppo tempo, quindi ancor meno delle già poche artiste esistenti al tempo sono quelle di cui abbiamo notizie. 

Il pittore, lo scultore erano considerati lavori maschili e per svolgere queste professioni era necessaria una preparazione che richiedeva lo studio della figura umana, copiata dal vero da modelli che abitualmente posavano nudi. E questo era ritenuto decisamente scandaloso per una donna agli occhi degli uomini dell’epoca.

Le donne per secoli non hanno avuto accesso ad una formazione pittorica paragonabile a quella riservata agli uomini, costrette ad una femminilità borghese-aristocratica dipendente e rinchiusa nella dimensione domestica. Basta pensare che fino al 1893 le ragazze non erano ammesse alla scuola di nudo della Royal Academy di Londra. La stessa RA inaspettatamente trova tra i suoi membri fondatori due donne, le pittrici Mary Moser e Angelica Kauffman (1768), le quali ricevevano un trattamento differente rispetto a quello riservato agli uomini. Nel dipinto “The Academicians of the Royal Academy” di Johan Zoffany vi sono ritratti trentaquattro dei primi membri della Royal Academy che si preparano per una lezione di disegno dal vivo con due modelli maschili nudi. In esso Angelica Kauffmann e Mary Moser non sono state raffigurate come gli altri membri partecipanti alla lezione, bensì vengono mostrate sotto forma di ritratti appesi alle pareti poiché sarebbe stato per loro inappropriato trovarsi in quella stanza.

Le donne erano tenute fuori da più di una classe dell’Accademia ed era dato per scontato che non avrebbero avuto alcun ruolo attivo nella gestione dell’istituzione stessa fino a Novecento inoltrato. Il 1860 è stato l’anno in cui venne ammessa la prima studentessa alla Royal Academy, Laura Herford, la quale inviò furbescamente un disegno per l’approvazione nella scuola firmandolo solo con le sue iniziali, e così questo fu accettato prima che qualcuno capisse che era stato realizzato da una donna. Herford fu seguita da altre studentesse, ma furono escluse dalle classi dal vero fino appunto al 1893, ed anche dopo questa data i modelli che posavano per le ragazze dovevano avere i genitali coperti, non mostrandosi mai in nudo integrale. L’ammissione delle donne fu strettamente controllata per assicurare che non superassero il numero degli uomini.

Nella seconda metà dell’Ottocento si vede dunque aumentare la popolazione delle donne artiste. Ufficialmente le donne furono ammesse nel Corpo Accademico dai tempi ben più antichi, ma erano quasi sempre affiancate da padri o mariti artisti, loro maestri e compagni di vita.

Nel XIX secolo però questo incremento dell’attività artistica femminile nel mondo accademico è dovuto a una crescente alfabetizzazione artistica che si svincola dall’apprendimento familiare o parentale, insieme all’aumento di richiesta di partecipazione nelle scuole d’arte da parte delle donne dettata dall’urgenza di ricoprire ruoli superiori, che senza una adeguata istruzione non potevano essere loro assegnati.

Johann Zoffany RA,
The Academicians of the Royal Academy, 1771-1772
Vediamo come in questo dipinto  Mary Moser and Angelica Kauffman  sono rappresentate sulla destra in forma di quadri poiché per loro sarebbe stato disdicevole trovarsi nella stanza insieme ai due modelli nudi.

In Italia le donne sono state ammesse nelle Accademie di Belle Arti con date diverse a seconda delle sedi delle scuole. Ad esempio nel 1897 all’Accademia Albertina di Torino, su centosettantuno iscritti, trentacinque furono le allieve donne. Beh… meglio di niente! Nel tempo, questi numeri saranno destinati ad aumentare. Il problema è che nonostante si registri, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, una cospicua presenza di donne che si dedicano alle arti visive, l’attività artistica femminile continuava a rimanere un fenomeno quasi ignorato, come evidenziato dal diffuso disinteresse della pubblicistica.

https://bibliotecadelledonne.women.it/rivista/la-donna-rivista-quindicinale-illustrata/

All’Accademia di Belle arti di Firenze è stato proibito l’accesso alle donne per lungo tempo, anche quando ormai dal 1869 le leggi italiane concedevano per diritto alle donne l’accesso agli Studi Superiori. Il pittore Giovanni Fattori fu uno degli insegnanti della Sezione femminile della scuola di Disegno di Figura fino al 1907, anno nel quale vennero riunite le classi maschili e femminili.

A Torino, si ha la prima manifestazione artistica internazionale riservata esclusivamente alle donne con le Esposizioni internazionali femminili di Belle Arti del 1910-11 e 1913, mentre all’estero già da tempo esisteva una tradizione in materia. La manifestazione fu organizzata dal primo magazine femminile italiano del Novecento, “La donna” (diretto da soli uomini).

Prima di questo evento ci fu a Firenze l’Esposizione Beatrice, una serie di eventi ed esposizioni dedicati ai festeggiamenti per il seicentenario della morte di Beatrice Portinari, l’amata di Dante Alighieri. Grazie all’iniziativa della poetessa e compositrice musicale Carlotta Ferrari, che per onorare il ricordo di Beatrice organizzò una grande fiera artistica improntata alla valorizzazione della creatività del modo femminile. 

La figura della donna, che tanto piace raffigurare agli artisti, non riveste per secoli il ruolo di raffigurante, e se lo fa, come abbiamo visto, sovente è in una condizione di forzata segretezza. La donna per molto tempo non ha avuto le possibilità e gli strumenti per opporsi al tipo di rappresentazione che la società le ha costruito addosso, non avendo così il diritto di potersi rappresentare da sola e di mostrare la propria visione del mondo. Gli storici italiani hanno continuato a concentrare le proprie attenzioni sulle figure maschili, che sebbene necessitino le attenzioni che da sempre abbiamo loro dedicato, riportano solo un quadro parziale del mondo e dell’arte.

Antonia Doni 

Nel Cinquecento la donna, se decideva di intraprendere la carriera artistica, perdeva la propria identità sessuale svolgendo un lavoro considerato “da uomo”, e per questa ragione le prime pittrici e miniatrici appartenevano al mondo ecclesiastico. Le religiose inoltre ricevevano un’istruzione, che non era affatto scontata. Negli scriptoria delle abbazie le suore colte e dotate di capacità grafiche e pittoriche si dedicavano all’arte della calligrafia, della decorazione, della copiatura e al disegno, per illustrare i libri con preziose miniature.

Spesso le artiste cinquecentesche erano figlie d’arte, poiché era l’unico modo per imparare il mestiere: confinate nel ruolo di procreatrici, le donne potevano decorare la casa, la propria persona, cucire e ricamare ma le libertà finivano qui. Al loro tempo, le artiste erano persino conosciute tra la popolazione, ma poi sono state messe in un angolo dalla critica.

A Firenze sono ben più di 2.000 le opere di artiste rintracciate e censite nei musei e nelle chiese. Antonia Doni è la prima delle artiste Fiorentine dimenticate di cui parleremo, in attesa del giorno nel quale non ci sarà più bisogno di dedicare sezioni apposite per celebrare l’estro delle donne e per farne conoscere le loro opere.

Antonia Doni (1456 – 1491) è la figlia di Paolo Uccello, ha dipinto “Vestizione di una monaca, una miniatura ad oggi collocata presso il gabinetto Disegni e stampe degli Uffizi

Per i motivi già citati, le notizie su questa donna, a suo modo rivoluzionaria, non sono molte: sappiamo fosse fiorentina, primogenita del celebre pittore quattrocentesco Paolo Uccello, presso la cui bottega si formò, che fu una suora carmelitana e che divenne una suora di clausura nell’ultimo decennio della vita. Tutto torna, la nostra Antonia era figlia d’arte ed ecclesiastica. Pacchetto completo.  

Vasari, nelle sue Vite, scrive di Paolo Uccello e fa riferimento ad una “sorella che aveva la conoscenza del dipingere” si tratta di Suor Antonia. La sua produzione fu così prolifica da farle guadagnare il titolo di “pittoressa” sul certificato di morte, perciò questa era la sua vera e propria occupazione, oltre a quella di suora, se così si può dire. È la prima volta che la forma femminile della parola “pittore” appare nei registri pubblici fiorentini.

Grazie alle commissioni interne all’ordine religioso, come miniature e tavolette votive, ebbe modo di lavorare con una libertà che mai avrebbe avuto se fosse stata laica.

Non sono note opere firmate o documentate di Antonia. La miniatura conservata agli Uffizi che rappresenta la vestizione di una monaca è stata attribuita a Suor Antonia ma non ne abbiamo la certezza.

Per quanto riguarda la scena rappresentata, che si svolge nella chiesa di S. Donato in Polverosa, si pensa che si tratti della monacazione di Costanza Vecchietti del 1481. È stata avanzata anche la proposta che il dipinto rappresenti la vestizione di Suor Antonia e che sia opera di un ignoto miniatore fiorentino della fine del XV e l’inizio del XVI secolo.

Alessia Bicci 

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...