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Come sapete la scuola Cesare Alfieri di Firenze ha visto transitare tra le proprie aule esponenti importanti della Resistenza italiana e poi della Prima Repubblica, uomini come Sandro Pertini già Capo di Stato ed esponente di spicco della lotta partigiana.
In un consueto discorso di fine anno (discorso del 1979) che il Presidente della Repubblica è solito fare agli italiani, Pertini, presidente dal 1978 al 1985, affermò: “Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi.”; frase forte che tiene ancora vivo il tremendo ricordo del regime fascista che il Presidente (così veniva chiamato) aveva contribuito a sconfiggere.
Proprio negli stessi anni in cui Pertini frequenta l’ateneo fiorentino anche Alessandro Pavolini si apprestava a dare gli esami nella stessa facoltà. Entrambi infatti iniziavano il percorso universitario proprio negli anni Venti del secolo scorso. Una coincidenza curiosa che esprime due anime diverse di un’Italia che proprio qualche giorno fa ha celebrato il 25 aprile, festa di liberazione da un regime e soprattutto da una guerra civile che idealmente coinvolge proprio queste due persone che hanno popolato e sicuramente arricchito nel bene o nel male il nostro Ateneo.
Ma vediamo chi è Pavolini nello specifico.
Alessandro Pavolini nasce a Firenze nel 1903, figlio di Margherita Cantagalli e di Paolo Emilio Pavolini. Il padre è stato un celebre filologo e traduttore, docente di sanscrito, la lingua ufficiale dell’India, presso la Facoltà di lettere dell’Università di Firenze.
Il futuro gerarca, durante gli studi presso l’Istituto di Studi Superiori Cesare Alfieri, poi Università dal 1924, dove si laurea in scienze politiche e giurisprudenza, si interessa fin da subito alla politica e al giornalismo.
Nel 1920 infatti si iscrive ai Fasci di combattimento della sezione fiorentina, movimento fondato da B. Mussolini a Milano l’anno precedente. Diventando elemento centrale di una milizia tra le più sanguinarie della Toscana.
Nell’ottobre del 1922 partecipa alla Marcia su Roma. Mobilitazione che spinge il re d’Italia Vittorio Emanuele III a nominare Mussolini quale capo del governo.
Il fascismo si consolida divenendo sempre più totalitarismo, e con il suo consolidarsi si fa strada anche Pavolini.
Nel 1924 partecipa alla contestazione del docente antifascista Gaetano Salvemini all’Unifi.
Dopo anni trascorsi da giornalista presso varie riviste di area fascista come Solaria e Critica fascista diventa federale di Firenze nel 1929, incarico che durante il fascismo era equiparabile al ruolo di sindaco, incarico che ebbe fino al 1934.
Dopo essere stato deputato dal 1934 al 1939 (ruolo svuotato di importanza), ottenne il suo incarico più prestigioso divenendo Ministro della Cultura Popolare. Dicastero fondamentale perché considerato realizzatore della “rivoluzione fascista”, ovvero una sorta di indottrinamento delle masse alle idee e ai costumi fascisti.
Dopo l’8 settembre del 1943 con l’armistizio dell’Italia badogliana Pavolini, gerarca tra i più intransigenti e violenti, si schiera immediatamente al fianco dei nazisti fondando le brigate nere, milizie incaricate di reprimere in ogni modo gli antifascisti che combattevano al centro-nord contro l’invasore tedesco.
Il 12 aprile del 1945, catturato a Dongo in provincia di Como dopo essere processato dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) per collaborazionismo col nemico, viene fucilato.
Una figura controversa
Esistono molti chiaroscuro di questo personaggio e Firenze ne è ancora influenzata. Basti pensare che fu lui a favorire e ad inaugurare una serie di realtà ancora oggi fondamentali per il capoluogo toscano, come l’autostrada Firenze-Mare, la Stazione di Santa Maria Novella, lo stadio Artemio Franchi (all’epoca chiamato Giovanni Berta) e infine l’istituzione del Maggio Musicale fiorentino.
Tuttavia Pavolini non è stato solo questo e non sarebbe giusto ricordarlo solo per questo.
Con le sue azioni infatti si è macchiato di una serie di crimini, spesso anche ai danni di innocenti. Pensiamo ai franchi tiratori su Firenze che il gerarca fiorentino dispose per vendicarsi sui cittadini fiorentini festanti per la propria città che si apprestava ad essere liberata. Non scordiamoci neanche le imposizioni e le minacce a chi non prendeva una tessera del partito fascista nei suoi anni di amministrazione cittadina e il sogno di Pavolini all’indomani del delitto Matteotti di annientare ogni opposizione residua ben più duramente e velocemente di quanto poi sia stato fatto effettivamente.
“Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie”, e anche se il fascismo di perfetto non aveva niente così voglio concludere il mio articolo con questa frase parte del discorso già citato del Presidente Pertini.
Andrea Manetti