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Il sistema internazionale nel corso della Storia ha subito numerosi sconvolgimenti che lo hanno alterato profondamente nell’aspetto e teorico ed in quello “pratico”. Veri e propri turning point appaiono individuabili nella ratifica di cruciali trattati di pace, come la Pace di Westfalia del 1648, volti a costituire un “nuovo ordine” nelle relazioni tra Stati, o nella fine di un logorante conflitto; ma anche nell’introduzione di nuove tecnologie in ambito militare e civile.
Senza alcun dubbio uno di questi turning point è la fine della Guerra Fredda, il conflitto che ha disegnato i confini, le relazioni diplomatiche ed i costrutti teorico culturali della seconda metà del Novecento.
L’inatteso collasso dell’Unione Sovietica ha scosso le fondamenta di molte delle teorie geopolitiche del tempo: un conflitto così permeato di valori ideologici giungeva al termine segnando quindi il possibile inizio di una nuova era e, pertanto, della necessità di nuove lenti con cui osservare il mondo.
LA FINE DELLA STORIA?
Numerose teorie si svilupparono in ambito geopolitico negli anni novanta, con l’intento di dare corpo ad una nuova visione capace di comprendere il rapido sviluppo di un mondo in evoluzione “libero” dal giogo bipolare che lo aveva sino ad allora caratterizzato.
In questo periodo emerge la voce del politologo statunitense Samuel P. Huntington (1927-2008), con la sua opera “The Clash of civilization” (1997) che identifica nella fine del conflitto tra le due superpotenze il nuovo motore della storia.
Apertamente in antitesi con la visione di Francis Fukuyama, “The end of History and the Last Man”, di una progressiva scomparsa del conflitto internazionale in favore del sistema democratico liberale occidentale, l’opera di Huntington propone un nuovo paradigma del conflitto internazionale.
Si assiste ad un cambiamento del concetto fondante dell’entità Stato-Nazione, il criterio di aggregazione basata su una cultura condivisa che Huntington tende ad identificare prettamente con la base religiosa; queste aggregazioni vanno a comporre le “civilizzazioni”. Huntington, in passato anche collaboratore governativo sotto la presidenza Carter, propone una divisione, o meglio un riallineamento dello scacchiere internazionale in funzione delle civilizzazioni identificate dall’insieme di Stati con una cultura condivisa, mentre pone la propria attenzione sui luoghi di incontro/scontro tra le varie civilizzazioni: le aree di faglia.
L’impianto teorico di Clash of civilization, risiede appunto nella previsione di come le aree maggiormente sensibili siano quelle di incontro tra civilizzazioni con sistemi culturali e valoriali differenti. Questo non deve essere percepito però come un mero ritorno al binario concetto di feind-freund di Carl Schmitt.
Le zolle di Civilizzazione appaiono come aree culturalmente omogenee con un sistema condiviso di principî e valori assoluti.
MACRO E MICRO
All’interno del corso di “Teorie della Politica Internazionale” in questo semestre, tenuto dal professor Luciano Bozzo, abbiamo avuto modo di ampliare la lente di indagine utilizzata da Huntington focalizzandoci sulle componenti macro e micro delle “guerre di faglia”.
La componente macro è la più semplice da individuare, incarnandosi nei conflitti o nelle collusioni al confine tra diverse aree non omogenee tra loro nel sistema valoriale; in questa categoria possono ricadere numerosi conflitti susseguitisi dopo il crollo del bipolarismo: la crisi in Jugoslavia, la crisi in Crimea, le tensioni Pakistano-Indiane (per citarne alcune).
Ma la spinta multipolare proposta da Huntington non tende ad esaurirsi esclusivamente ai margini delle zolle omogenee di civilizzazione, ma anche all’interno delle zolle medesime, nel loro cuore: le città.
Da sempre la città è assimilabile al centro massimo di aggregazione umana ed il fulcro della vita sociale. Il rischio che sottolinea Huntington è quello dell’emergere di diversi sistemi valoriali dettati dalle differenze culturali e quindi la possibilità di conflitti/collisioni interni. Questione estremamente delicata che prende forma con la progressiva crescita dei grandi agglomerati urbani e l’aumento della multipolarità e varietà culturale nelle moderne città.
SCONTRO = GUERRA?
In conclusione possiamo osservare come la teoria cardine proposta da Huntington possa offrire delle nuove lenti capaci di affrontare ed interpretare un sistema internazionale e civile tendente al multipolarismo ma non deve essere affrontato come una teoria prona alla predizione di un conflitto latente costante tra le diverse civilizzazioni.
Probabilmente il contributo principale della trattazione potrebbe essere quello di non escludere la questione valoriale e culturale dei singoli stati, rivalutandone il peso ed evitando l’affascinante ipotesi di un appiattimento culturale dettato dalla vittoria del sistema liberale e dalla crescente globalizzazione.
ANGELO DORIA