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C’era una volta un uomo di nome Adam,
Adam Smith.
Adam non incontrò mai il padre, era morto prima che lui nascesse. Si prese cura di lui la madre Margaret con la quale visse un legame molto stretto.
Il nostro amico divenne professore di filosofia a Edimburgo.
Fece amicizia con molti intellettuali, tra cui anche David Hume.
In Francia, scrisse il libro “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” (also known as La ricchezza delle nazioni).
In questo libro Smith racconta della sua visita in una fabbrica di spilli.
Ci vogliono diciotto operazioni per fare uno spillo.
“un uomo tira il filo del metallo, un altro dirizza, un terzo lo taglia, un quarto lo appunta, un quinto l’arrota all’estremità ove deve farsi la testa; farne la testa richiede due o tre distinte operazioni, collocarla è una speciale occupazione, pulire gli spilli ne è un’altra, ed un’altra ne è il disporli entro la carta”
Se ognuno degli uomini avesse lavorato per conto proprio non sarebbe riuscito a produrre più di 20 spilli un solo giorno.
Insieme, dieci lavoratori riescono a produrre dodici libbre di spilli in un giorno, all’incirca 48.000 spilli!
Con questo, Adam giunse ad una conclusione rivoluzionaria: alla base della crescita economica di un paese vi è la ripartizione del lavoro, grazie alla quale è possibile aumentare la produttività dei lavoratori.
Una fabbrica con lavoratori specializzati in una singola operazione produce più beni rispetto a una fabbrica uguale i cui lavoratori svolgono contemporaneamente tutto il processo produttivo.
Grazie alla ripartizione del lavoro all’interno dell’impresa, si possono sfruttare economie di specializzazione.
Un lavoratore che svolge sempre la solita mansione diventerà sempre più bravo per esperienza, ridurrà i tempi di svolgimento e, di conseguenza, anche il costo unitario di produzione. Ci sarà una maggiore efficienza.
Il principio trovò la sua massima applicazione nel taylorismo e nella catena di montaggio.
Allo stesso tempo, la divisione del lavoro ha degli svantaggi. Il soggetto si specializza nel compiere una singola operazione. Questo vuol dire che potrebbe essere difficile impiegarlo in altre aree dell’azienda. Oltre ciò, se l’individuo svolge un lavoro ripetitivo perde la sua libertà di espressione e la sua creatività. Potrebbe risultare alienante, se non frustrante.
Lo stesso Smith afferma: “Con il progredire della divisione del lavoro, l’occupazione della gran parte di coloro che vivono per mezzo del lavoro, cioè della gran parte della popolazione, finisce per essere limitata ad alcune operazioni semplicissime; spesso una o due. Ma l’intelletto della maggior parte degli uomini è necessariamente formato dalle loro occupazioni ordinarie. Chi passa tutta la sua vita a eseguire alcune semplici operazioni, i cui effetti sono inoltre forse sempre gli stessi o quasi, non ha occasione di esercitare l’intelletto o la sua inventiva nell’escogitare espedienti per superare difficoltà che non si presentano mai. Perciò, egli perde naturalmente l’abitudine di questo esercizio e generalmente diventa tanto stupido e ignorante quanto può diventarlo una natura umana.”.
Per Smith, che oltre ad essere un economista è anche filosofo, c’è la necessità dell’intervento dello Stato per quanto riguarda l’educazione del popolo.
“Più il popolo è istruito, meno esso è soggetto alle delusioni dell’entusiasmo e della superstizione, che fra i popoli ignoranti provocano i disordini più terribili.”
Il padre dell’economia classica risulta consapevole che la ricchezza vada definita, non solo considerando il profitto delle imprese, ma anche i bisogni e le esigenze personali della società.
Elena Sofia D’Andria