INTERVISTA A MATTEO INNOCENTI

La Portineria è una delle sei gallerie fiorentine che hanno preso parte al progetto ‘Primo Vere’, avviato il 21 marzo scorso e visitabile fino al 20 aprile. Matteo Innocenti, ideatore e direttore di La Portineria, ci racconta che valore ha per lui Primo Vere coinvolgendoci nella sua idea di curatela, nell’intervista ad opera di Beatrice Carrara:

Del progetto Primo Vere cosa l’ha entusiasmata di più?

“Mi ha colpito soprattutto questa intenzione di mettere in relazione degli spazi d’arte che operano nella città di Firenze, il che non è scontato, perché normalmente non ci sono molte occasioni per creare questo tipo di dialogo. Non mi riferisco solo al periodo recente, insomma anche storicamente non credo si contino tante occasioni di dialogo tra gli spazi, per tutta una serie di questioni. Quindi sicuramente questa idea di unirsi e promuovere un evento che poi a sua volta promuove individualmente gli spazi è sicuramente positiva. E l’altro aspetto di valore è sicuramente il periodo in cui questo è accaduto, in un momento di grande difficoltà che sta durando, ora da tanto, da oltre un anno, e sappiamo bene che la pandemia oltre al disastro sanitario ha toccato vari comparti, quello culturale è stato uno dei più colpiti. Quindi questa idea di fare un evento d’arte nei vari spazi, secondo me, ha anche una portata simbolica forte, è un segnale positivo. Certamente non un segnale di incoscienza, ‘Primo Vere’ non significa: “facciamo finta che la situazione non sia quello che è”, ma è un segnale che si deve guardare al futuro. Perché certamente si deve uscire da questa situazione in un modo o nell’altro, altrimenti i problemi diventerebbero d’altro tipo, irrisolvibili, oltre che da un punto di vista economico, anche sociale e psicologico. Quindi direi questi due aspetti: dialogo tra spazi d’arte e portata simbolica, associata al periodo in cui questo evento è accaduto”

Presumo che ogni artista lavorando con voi vi lasci qualcosa, in questo caso cosa vi ha lasciato Marco Mazzoni ?

“Assolutamente giusto che ogni artista ci lascia qualcosa, si impara sempre qualcosa nel rapporto con gli artisti. Nello specifico di Marco Mazzoni direi: la capacità di leggere, sentire, interpretare lo spazio. Questo credo che gli derivi da un’esperienza lunga in ambito performativo, perché Marco Mazzoni è un componente dei Kinkaleri che è un gruppo di sperimentazione che sta all’interno dell’ambito delle arti visive, ma con tangenza con il teatro con la performance art, le installazione ecc.. Quindi questa componente d’interpretazione spaziale certamente fa parte di una ricerca che va avanti dai primi anni ‘90, periodo in cui si sono costituiti come gruppo. Marco già nel primo sopralluogo ha avuto questa intuizione di interpretare lo spazio, e devo dire che questo è particolarmente importante per un luogo come La Portineria. Perché non è un luogo canonico, ha la sua identità che noi riteniamo essere un punto di forza, tant’è che ha mantenuto nel nome anche quella che era la sua funzione, appunto di portineria. Però richiede sempre che lo spazio venga letto, altrimenti portare semplicemente delle opere e posizionarle, avrebbe poco significato in uno spazio come La Portineria. Marco è riuscito a farlo, a mio avviso con leggerezza, incisività e anche eleganza. Quindi con pochi tocchi questi due cani latranti che si fronteggiano in un qualche modo, sono come due estremi di una tensione o di uno stato potenziale. Che poi viene punteggiato da questo tappeto materico per terra e che in qualche modo può essere visto come segno di accoglienza o anche come segno di invasività, questo poi dipende dall’esperienza particolare di ogni visitatore.”

Quando si espone il lavoro di un’artista cosa è essenziale tenere a mente?

“Ogni curatore ti risponderebbe in modo differente, perché gli approcci variano. Per me è fondamentale l’aspetto di dialogo con l’artista, è qualcosa che connota tutte le mostre che facciamo a La Portineria. Quindi il fatto che ogni progetto venga sviluppato attraverso un dialogo costante, credo che in generale sia anche il ruolo della curatela. Credo meno alla funzione della curatela come elaborazione concettuale e anche formale di discorsi in cui le opere d’arte diventano gli strumenti della dimostrazione di una teoria. Quindi in una mostra a tema, in cui si porta un concetto forte, il curatore individua degli artisti e delle opere nello specifico e le fa rientrare all’interno del percorso espositivo, che risponde al tema di origine. Secondo me è più interessante un altro approccio, che è quello di non predeterminare un senso, ma di arrivare a costruirlo nel rapporto di dialogo con l’artista. Questo è correlato a un altro fatto che, secondo me, la figura del curatore è una figura di mediazione. Io direi che la sua finalità, più che dare delle definizioni sull’opera,  sia quella di mettere l’artista nelle condizioni migliori per esprimersi e inoltre far sì che il pubblico incontri l’opera dell’artista. Ma da quel momento in poi il rapporto tra pubblico e opera è assolutamente autonomo.”

In questo periodo di pandemia le gallerie d’arte, come tutte le istituzioni culturali, hanno dovuto ricrearsi pur di vivere con la propria passione; La Portineria su cosa ha puntato?

“La Portineria nasce, ed è, come spazio no profit e resta uno spazio no profit. Quindi diciamo che non ha tra le sue finalità principali quella commerciale, questo lo dico senza alcun tipo di giudizio, perché anche la galleria d’arte è un tipo di attività culturale e commerciale legittimo, anzi, svolge una funzione importante, fondamentale. Quindi direi: per noi l’obiettivo primario resta quello che era all’inizio, vale a dire la ricerca, la sperimentazione del rapporto con gli artisti. E l’altro elemento è quello di dialogo, l’ho citato prima, ma c’è anche un’altra forma di dialogo che ci interessa che è quella con in il pubblico. Noi siamo all’interno di un palazzo abitato, quindi in maniera naturale questo aspetto è da considerare. E poi considerando anche il fatto che siamo nel quartiere di Campo di Marte, che è un quartiere molto bello, residenziale, tuttavia, non c’è un’intensa attività culturale, (tralasciando il periodo pandemico…,)  non ci sono molti spazi. E allora l’altro dei nostri fini è costituire all’interno di Palazzo Poli una sorta di piccolo polo per l’arte contemporanea. Infatti, in un altro spazio affiancato a La Portineria, già da vari mesi ha iniziato una propria attività Satellite, un progetto gestito da Francesco Zola, un gallerista toscano ma che vive in Spagna a Granada da alcuni anni, dove ha per l’appunto una galleria che si chiama Suburbia. Inoltre, Zola, ha il progetto Satellite, “satellitare” che per l’appunto si sposta in varie città e che adesso è a Firenze,  e starà qui per un po’. Poi in un altro spazio che abbiamo sempre riacquistato al piano terra, abbiamo avviato il progetto Studio. Che è uno studio d’artista a tutti gli effetti, un luogo di lavoro che viene affidato a degli artisti per periodi variabili tramite un open call pubblica, si partecipa mandando portfolio e pochi altri materiali. La direzione in cui stiamo andando, innanzitutto è di ottenere uno spazio, un ruolo all’interno della città come spazio artistico, perché comunque siamo nati un anno fa e non è da molto tempo. E dall’altra parte far sì che a Palazzo Poli accada qualcosa, quindi che ci siano più occasioni. Per adesso ne abbiamo tre, magari in futuro si riuscirà anche ad avviare ulteriori progettualità”

Da un punto di vista professionale, che cosa consiglia a coloro che ambiscono a lavorare in una galleria d’arte come curatore?

“Rispetto a quando io ho iniziato la situazione è un po’ cambiata, nel senso che fino a qualche anno fa, per esempio, non esistevano dei corsi universitari né scuole che indirizzavano a curatela artistica. Quindi era davvero una sperimentazione, legata ad un proprio studio, ad una propria sensibilità. Oggi invece, sono stati avviati dei percorsi “professionalizzanti” che possono dare degli strumenti; però dico professionalizzanti tra virgolette, perché, secondo me, sia l’artista, ma anche il curatore, non esattamente sono richiudibili nella definizione di professione, per come la si intende normalmente all’interno della società. Perché questo termine ‘professione’ si porta dietro anche un’idea di produzione, funzione, consumo che secondo me si attagliano male nell’ambito artistico. Però certamente lo studio, essere preparati è importantissimo. Io direi che la prima cosa è quella di continuare sempre a studiare, ed essere molto curiosi, quindi andare a vedere mostre, parlare con gli artisti, parlare con altri curatori e così via. Perché tutto questo crea una preparazione teorica che è necessaria, e che è indispensabile  continuare a portare avanti nel tempo. Da un punto di vista pratico direi che le strade principali potrebbero essere: inizialmente quella di provare a organizzare delle mostre, assieme anche ad associazioni culturali, spazi che possono venir messi a disposizione gratuitamente dalle amministrazioni comunali, a volte anche da privati, a volte si tratta di spazi recuperati. Perché è come una sorta di esercizio, però con la differenza che a quel punto non si è più soltanto nella teoria, ma è un confronto diretto con le persone. Che per altro questo, facendo riferimento alla mia esperienza, mi ha aiutato molto per prendere confidenza con gli artisti, sui metodi di installare le opere ecc. Quindi assolutamente spirito di iniziativa, inizialmente, ed esercitarsi in questo modo. Poi se si intende che diventi il proprio percorso, provare ad avviare delle collaborazioni proponendosi a gallerie, provando con altre istituzioni o musei ecc. Però certamente lo spirito di iniziativa e intraprendenza è fondamentale. Avere un atteggiamento passivo sicuramente non paga, meglio provare, anche fare degli errori, però lanciarsi e in questo modo fare esperienza. Anche perché ci sono tantissimi giovani artisti che stanno concludendo l’accademia o l’hanno conclusa da poco che hanno voglia di esporre. Quindi anche quando si inizia a fare la curatela si può creare questo  forte dialogo, perché fare una mostra va nell’interesse di entrambe le figure sia del curatore, che dell’artista”

Firenze 9 aprile 2021

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